No vax in terapia intensiva: "Paziente
ha rifiutato l'intubazione ed è morto"
Un lavoro senza sosta quello della terapia intensiva, che sta ormai operando al massimo della sua capienza in ambito Covid, con otto pazienti ricoverati, con una mortalità che in questa ondata è di circa il 30%. La maggior parte persone non vaccinate, o che hanno lasciato passare molto tempo dalla seconda dose.
“Il ricovero in terapia intensiva è, frequentemente, l’epilogo di una storia che inizia con un periodo a domicilio senza un’adeguata risposta terapeutica, e una degenza in reparti a media e alta intensità, come la pneumologia, dove l’obiettivo è di mantenere il più possibile la funziona respiratoria con mezzi non invasivi” spiega il direttore dell’unità operativa, Enrico Storti. “In una percentuale di casi ha successo, in altri l’epilogo diventa la manovra di intubazione”.
Ma non mancano i no vax che rifiutano l’intubazione: “Ci siamo trovati davanti almeno un paio di casi in cui c’è stata una resistenza piuttosto consistente rispetto alla manovra di intubacione. In un caso siamo riusciti, dialogando, ad avere il consenso, in un altro non è stato possibile” spiega ancora il primario. Situazioni difficili per i medici e per gli operatori che si trovano impotenti di frontre a delle convinzioni che non lasciano alcuna possibilità di operare. Con esiti purtroppo infausti: il secondo paziente è infatti morto qualche giorno dopo. “Anche perché la cinetica di arrivo in terapia intensiva rispecchiava la sua convinzione: è arrivato tardi in ospedale, quando ormai si erano perse diverse possibilità terapeutiche: una situazione che ha poi presentato il conto” continua Storti.
Per fortuna c’è anche chi capisce e si ricrede, comprendendo quello che è il grande lavoro del comparto sanitario, impegnato ormai da due anni in un lavoro senza sosta, monitorando i parametri dei pazienti ed effettuando quelle manovre di intubazione che consentono al paziente di respirare anche quando i suoi polmoni non funzionano a sufficienza. Per questo Storti ringrazia tutti coloro che stanno lavorando con lui: “In due anni non ho mai visto persone tirarsi indietro, e nonostante siamo tutti esausti, c’è ancora una grande attitudine a voler riportare i pazienti in uno stato di salute che gli consenta una vita normale. Ma c’è anche un grande spirito di collaborazione nel raggiungere un risultato”.
Laura Bosio