Energia, l'allarme dell'industria:
"Necessari interventi immediati"
Il costo dell'energia elettrica è aumentato del 280% rispetto a gennaio 2021 e del 650% rispetto a gennaio 2020. Gli industriali chiedono una riforma del mercato elettrico nazionale
I settori manifatturieri italiani si trovano a fronteggiare un drammatico aumento dei costi delle commodity energetiche, che sta mettendo a rischio la sopravvivenza di molte imprese. Il prezzo dell’energia elettrica continua a registrare valori record: nelle prime due settimane di dicembre ha raggiunto il picco storico di 374 €/MWh (+280% rispetto al valore di gennaio 2021; +650% rispetto a gennaio 2020). Anche le quotazioni del gas naturale stanno registrando degli andamenti di crescita esponenziale: il prezzo della commodity in Italia è cresciuto di oltre il 671% da novembre 2020 a novembre 2021, e le quotazioni al principale hub europeo hanno superato negli ultimi giorni i 180 €/MWh.
Questa situazione comporta per la manifattura italiana un drastico incremento dei costi per la fornitura di energia, che impatta principalmente sui settori ad alta intensità energetica: le industrie dell’acciaio, della carta, del cemento, della ceramica, della chimica, delle fonderie e del vetro e della calce sono nella concreta impossibilità di proseguire con le attività produttive.
Una situazione paradossale, considerando che gli ordinativi sono ai massimi degli ultimi anni e ben oltre i livelli immediatamente pre-pandemia. A questo si aggiunge il fatto che i margini sono erosi completamente da costi che non possono essere trasferiti a valle sui clienti.
Le industrie energivore hanno lanciato il loro grido d’allarme in occasione di una conferenza stampa svoltasi oggi, 27 dicembre 2021, alla Fonderia di Torbole, a Torbole Casaglia in provincia di Brescia.
Il fronte imprenditoriale era rappresentato da Fabio Zanardi ed Enrico Frigerio (rispettivamente presidente e vicepresidente di Assofond), Roberto Vavassori (vicepresidente di Anfia), Michele Bianchi (comitato presidenza di Assocarta) e Franco Gussalli Beretta (presidente di Confindustria Brescia), cui si sono aggiunti in collegamento Giovanni Savorani (presidente di Confindustria Ceramica), Roberto Pierucci (comitato presidenza di Assovetro) e Davide Garofalo (consigliere di Assomet).
Il mondo della politica e delle istituzioni ha visto invece la presenza di Matteo Salvini e degli assessori allo Sviluppo economico di Regione Lombardia, Guido Guidesi, e (in collegamento) di Regione Emilia-Romagna Vincenzo Colla. Proprio l’assessore Guidesi ha definito così il momento drammatico: “I costi energetici rischiano di essere la Lehman Brothers del manifatturiero e questo non possiamo permettercelo, bisogna agire subito a livello europeo. L’Europa ha deciso di non decidere e di rimandare il problema. Bastava parlare, come facciamo quotidianamente, con gli imprenditori per capire ciò che stava e sta accadendo”.
Il leader della Lega Salvini è ancora più tagliente “Se non si interviene sull’energia, il Pnrr rimarrà a metà rispetto a quello che è scritto su carta. Per questo il dibattito va affrontato senza ideologia, le grande aziende hanno margini che si stanno assottigliando, i piccoli hanno già chiuso. Entro la settimana arriveranno le prime proposte concrete: le industrie non possono dipendere dal vento e dal sole; mi interessa mettere intorno al tavolo i ministeri competenti, Sviluppo economico e Transizione ecologica, oltre al presidente del Consiglio: un inverno in lockdown, al freddo e al buio rischia di trasformarsi in una bomba sociale”.
Le imprese dei settori energivori hanno un ruolo chiave nel tessuto industriale italiano: generano 88 miliardi l’anno di valore aggiunto, con una forte vocazione all’export che vale circa il 55% del loro fatturato, e sostengono 350.000 posti di lavoro diretti, numero che raddoppia a 700.000 persone calcolando anche l’indotto. La prospettiva per queste imprese è di non riuscire più a garantire ai clienti semilavorati e prodotti e aprire per un gran numero di lavoratori la prospettiva della cassa integrazione. Un rischio ulteriore è che rallenti e fermi l’economia circolare: molti dei settori energy intensive sono, infatti, anche riciclatori di rifiuti e di materie prime secondarie.
Oltre alla denuncia di una situazione ormai insostenibile, le associazioni imprenditoriali hanno anche elencato le possibili soluzioni, sia congiunturali sia strutturali, che potrebbero permettere alle imprese per lo meno di non dover affrontare un ulteriore peggioramento nel 2022, dato che lo scenario relativo ai prezzi delle commodity energetiche si annuncia ancora più complesso nei prossimi mesi.
In un momento così straordinario le imprese chiedono interventi immediati. Per mitigare gli effetti devastanti del costo impazzito del gas naturale sui mercati mondiali occorre valorizzare la risorsa del gas nazionale, sia come risposta congiunturale, mediante una procedura di gas release per il periodo invernale, sia creando un meccanismo temporaneo che allochi quote del gas estratto in Italia in sostituzione di gas importato alle imprese a ciclo termico, impegnate nella decarbonizzazione dei loro processi.
Sul fronte dell’energia elettrica deve essere rinviato il capacity market (un nuovo onere che dal 1° gennaio 2022 porterà un aggravio pari a 39,799 €/MWh nelle 500 ore di picco, quelle in cui il sistema ha la maggiore congestione di consumo, e pari a 1,296 €/MWh nelle altre ore) e deve essere data la più ampia applicazione possibile all’art. 39 elettrico. Con uno sguardo di medio periodo serve riformare il mercato elettrico nazionale. I costi energetici crescono e impoveriscono le imprese, produttori e grandi venditori di energia continuano a fare profitti al di sopra di qualsiasi logica di mercato. In materia di ETS servono i correttivi, anche temporanei, per limitare la possibilità si spinte speculative causate da investitori non industriali. Inoltre va sbloccata la compensazione dei costi indiretti che in Italia sembra essersi arenata.