L'appello alle donne: "Non siete
sole, non fatevi vincere dalla paura"
Questura, ospedale, Aida e i centri di ascolto
al Ponchielli davanti ad una platea di giovani
per il convegno "Questo non è amore"
Oggi, 25 novembre, si celebra la giornata internazionale contro le violenze subite dalle donne. Tra le numerose iniziative in programma a Cremona, anche il convegno “Questo non è amore”, svoltosi questa mattina alle 10 al teatro Ponchielli e al quale hanno partecipato più di 400 ragazzi delle scuole superiori della città. L’incontro, organizzato dalla Questura, ha visto come relatori il dirigente della Divisione Anticrimine Adele Belluso, il direttore dell’Unità Operativa Complessa di Pronto Soccorso dell’ospedale di Cremona Francesca Maria Cò, l’avvocato Elena Guerreschi, presidente di Aida, e la psicologa Fernanda Werner, mediatrice familiare e socia fondatrice, nel 2014, dell’associazione “Centro di ascolto uomini maltrattanti”.
Davanti ad una platea di giovani, che hanno assistito alla proiezione di filmati di forte impatto emotivo e visivo nei quali si sono succedute immagini di volti di donne tumefatti dalla violenza dell’uomo, si è tracciato un quadro incisivo delle varie tipologie di reati che contraddistinguono la violenza di genere: dai maltrattamenti, allo stalking, alla violenza sessuale, alle violenze di natura tecnologica, come il revenge porn, la diffusione senza consenso di immagini o video intimi con l’intento di denigrare la vittima; si è parlato poi delle violenze psicologiche, ma anche economiche, dell’isolamento della donna e del lavoro della Questura e delle varie associazioni per aiutare le vittime a ritrovare dignità e a riprendere in mano le proprie vite, dove spesso ci sono anche dei figli che molte volte assistono alle violenze.
La dirigente della Questura Adele Belluso ha parlato delle violenze fisiche subite dalle donne: lo schiaffo, la spinta, il morso, le bruciature di sigaretta: tutto preceduto da violenze psicologiche con il fine di mortificare la moglie o la compagna, di svilirla, di isolarla dalla comunità e dalla famiglia, costringendola a cambiare il proprio modo di vita, magari a cambiare lavoro o addirittura città. La Belluso ha puntato l’attenzione anche sulle violenze sessuali, ma anche sulle limitazioni e privazioni subite, e poi sulla figura dello stalker, che è il molestatore seriale, una persona che si comporta in modo ripetitivo, una persona risentita, una persona respinta che non accetta un no, o il corteggiatore assillante, il predatore, colui che fa appostamenti sotto casa o sul posto di lavoro. “E’ una guerra tra uomo e donna dove non ci sono vinti, nè vincitori”, ha detto la dirigente, “una guerra che molto spesso nasce nelle abitazioni dove il compagno non accetta che la donna sia libera di scegliere e di amare, e quindi la vuole annullare perchè lei ha deciso di lasciarlo”.
“La donna”, ha spiegato la Belluso, “ci chiede protezione e celerità. Noi siamo il collante con tutte le istituzioni. A noi le donne devono consegnare tutto il loro sapere e tutta la loro vita”. Le forze dell’ordine hanno il compito di tutelare le vittime di questi abusi. Un primo passo è l’ammonimento, un provvedimento adottato su richiesta della vittima di violenze o maltrattamenti che va notificato immediatamente: in questo caso l’uomo viene diffidato, ma se dovesse continuare, si procede d’ufficio. “Non siete sole”, è l’appello lanciato dalla Questura a tutte le donne maltrattate e ai loro familiari e amici. “Con voi ci sono le istituzioni, l’importante è cogliere i segnali e non lasciarsi vincere dalla paura, le possibilità ci sono”.
Un fenomeno, quello della violenza di genere, che fa paura. In soli tre anni, dal 2017 al 2019, al pronto soccorso si sono rivolte 16.000 donne risultate vittime di diverse forme di violenza. Lo ha detto il direttore dell’Unità Operativa Complessa di Pronto Soccorso dell’ospedale Francesca Cò. “L’età media è di 35/45 anni, quindi donne che hanno figli relativamente piccoli. Donne di tutti i ceti sociali, prevalentemente italiane”. Ce ne sono alcune che si autopresentano, dichiarando apertamente di essere state vittime di violenza, oppure è il medico che deve essere così bravo da interpretare le lesioni che vede sul corpo. “Perchè molto spesso”, ha spiegato la Cò, “le donne, vittime anche di violenze psicologiche, si colpevolizzano, o hanno paura o si vergognano. Così l’ematoma da pugno diventa una caduta dalle scale o un incidente in casa. Tutti i segni devono essere accuratamente documentati e tenuti in custodia, perchè più è precisa la descrizione della lesione, più è facilitata l’attività della polizia. Quando capitano questi casi, inoltre, attiviamo sempre gli assistenti sociali all’interno dell’ospedale che a loro volta prendono contatti con la Questura e con le associazioni. E’ una catena, l’unico modo è lavorare insieme”.
E’ poi intervenuta Elena Guerreschi, avvocato e presidente di Aida, l’Associazione incontro donne antiviolenza nata nel 2001. Un ruolo importantissimo, quello di Aida: quello di accogliere le donne vittime di violenza e predisporre per loro un percorso per uscire dall’incubo. “Arrivano da noi spaventate, confuse, e devono metterci a disposizione anni e anni del loro vissuto”, ha detto la Guerreschi. “Sono donne che tendono a colpevolizzarsi, mentre noi cerchiamo di renderle consapevoli di essere vittime”. L’avvocato Guerreschi è andata indietro nel tempo, ma non troppo, parlando di un sistema culturale in base al quale le donne erano di fatto assoggettate al potere maschile. “Una donna che subisce violenza rientra in una mentalità per cui tutto questo viene tollerato. Tanto che il primo centro antiviolenza è nato solo nel 1984. Prima non c’erano norme che garantivano aiuti e protezione”. Per la presidente di Aida, “la prima spinta deve partire dalle donne. Sono loro che devono decidere di parlare. E in quanto a noi, offriamo un sostegno psicologico gratuito, le aiutiamo a fare un curriculum per trovare lavoro e rendersi autonome, diamo una mano anche per problemi abitativi. Abbiamo due case: una casa rifugio e una casa per la semi autonomia per ritrovare autostima e serenità e poter ricominciare una nuova vita”.
Infine la violenza vista dalla parte dei maltrattatori: ne ha parlato Fernanda Werner, socia fondatrice dell’associazione “Centro di ascolto uomini maltrattanti”. “Alcuni riconoscono che i loro comportamenti sono violenti. L’obiettivo è quello di portarli ad una consapevolezza con un lavoro psicologico e di educazione. Molti si giustificano, dicendo che la donna dice bugie, che lo fa apposta, che provoca, e molti minimizzano, sostenendo di aver dato alle compagne solo uno spintone, o di averle appena toccate, e che comunque in tutte le coppie ci sono attriti”. “In loro”, ha detto ancora la Werner, “c’è la convinzione di avere dei diritti all’interno della coppia. E purtroppo la violenza paga, è lo strumento più efficace per ottenere quello che si vuole. Solo che rovina le relazioni e le famiglie. Per gli uomini ci sono quindi percorsi di riconoscimento delle violenze, sapendo che spesso sono un mezzo per difendersi da un mare di fragilità”.
Il convegno è stato moderato dalla giornalista del giornale “La Provincia”, Francesca Morandi.
Nel pomeriggio, nella galleria del centro commerciale CremonaPo, è stato allestito dalla Questura uno stand sulla violenza di genere dove è stato distribuito materiale informativo per la sensibilizzazione sul fenomeno della violenza contro le donne.
Sara Pizzorni