Il sistema agroalimentare italiano
tra regole e sviluppo futuro
In queste settimane sono numerosi i dibattiti e gli approfondimenti che riguardano il settore. Fondamentali anche gli orientamenti del Parlamento europeo per quanto riguarda la futura Pac e le etichette con i valori nutrizionali. Il difficile equilibrio tra ricerca della sostenibilità e futuro di filiere che rappresentano asset importanti per l'equilibrio dei sistemi economici dei paesi europei.
Il sistema agroalimentare europeo è in questi giorni al centro dell’attenzione con dibattiti e decisioni prese o da prendere che si tengono in diversi luoghi fisici e con diversi livelli di competenza. Ne viene coinvolto, nel bene e nel male, anche quello italiano che rappresenta un asset strategico dell’economia del nostro paese. A Strasburgo, il parlamento europeo con 452 sì, 170 no e 76 astensioni ha accolto favorevolmente le nuove strategie che indirizzeranno l’agricoltura europea a partire dal 2023. Nel testo approvato dagli eurodeputati (una risoluzione non legislativa, ma comunque indicativa degli orientamenti europei) vi sono alcuni passaggi controversi, tra cui quello legato alla maggiore sostenibilità della filiera alimentare, che dovrà comunque essere accompagnata da un equo profitto garantito agli agricoltori. Salvo quest’ultimo aspetto, che occorrerà vedere come potrà essere messo in pratica, in questo modo il Parlamento Europeo fa un altro passo in direzione della strategia “Farm to Fork”, che per certi versi non corrisponde pienamente alle esigenze degli agricoltori, ma è più orientato a quelle dei cittadini-consumatori. Gli agricoltori hanno chiesto uno studio sull’impatto che la strategia europea potrebbe avere sul settore agricolo: si teme infatti, che una “estensivizzazione” dell’attività agricola porti ad una riduzione delle produzioni, che non si accompagnerebbe a significativi miglioramenti per l’ambiente, poiché gran parte dell’Europa ed il nostro paese, diventerebbero ancora più dipendenti dalle importazioni dall’estero. E, in sintonia con queste linee, la Pac futura comporterebbe maggiori vincoli per i produttori legati all’impiego di agrofarmaci in campagna e di antibiotici nelle stalle per non parlare dell’incremento delle superficie coltivate a biologico da qui al 2030. Ne deriverebbe un danno per i redditi degli agricoltori ma anche per la bilancia dei pagamenti dei paesi europei.
Altro argomento che da tempo aleggia sul sistema agroindustriale europeo: l’esposizione in etichetta dei valori nutrizionali. Con il “nutriscore” o etichettatura a semaforo, con cui si vuole facilitare (in teoria) l’informazione alimentare al consumatore, in realtà si commettono delle semplificazioni estreme che finiscono per avere dei limiti. Al punto che alcuni prodotti ampiamente riconosciuti come salubri e componenti di base nella dieta mediterranea ne risulterebbero danneggiati. Su questo fronte le organizzazioni degli agricoltori italiane, unitamente agli esponenti politici esperti di agroalimentare marciano compatti. E questo lascia ben sperare anche se lo scontro è in Europa e di conseguenza occorrerà trovare le giuste alleanze.
Un altro argomento su cui l’Italia agricola ha dimostrato una grande compattezza è il tema delle pratiche sleali in agricoltura che recepisce la direttiva dell’Unione europea 633/2019 e che il Consiglio dei ministri ha approvato la settimana scorsa. L’obiettivo è regolarizzare i rapporti tra le imprese della filiera agroalimentare all’insegna della trasparenza e dell’equilibrio, evitando pratiche scorrette da parte degli operatori con maggiore potere contrattuale. Tra i punti centrali della nuova normativa, l’obbligo di stipulare contratti in forma scritta, la durata di almeno 12 mesi e la presenza di indicazioni sul prezzo di cessione, che può essere fisso o stabilito in base a criteri specificati nel contratto stesso. Per i ritardi nei pagamenti, in caso di mancato versamento entro 30 giorni per i prodotti deperibili ed entro 60 per quelli conservabili scattano le sanzioni e l’acquirente è tenuto a corrispondere al fornitore gli interessi legali oltre a quanto pattuito. Allo stesso tempo sono vietate le modifiche ai contratti stipulati in modo unilaterale. Alcune di queste norme erano già state introdotte, ma non sempre sono state rispettate. Il latte ed il suo prezzo ne sanno qualcosa.
A conferma poi dell’interesse nel mondo per il cibo “made in Italy”, Nomisma sottolinea la forte ripresa che sta interessando l’export agroalimentare italiano: il dato cumulato dei primi otto mesi di quest’anno segna un +13% sullo stesso periodo 2020 e, andando avanti di questo passo, il 2021 potrebbe vedere superata la fatidica soglia dei 50 miliardi di euro. L’incremento è superiore anche rispetto al 2019, a dimostrazione di come i fondamentali di questo rimbalzo siano solidi e non solamente legati a un rimbalzo dovuto alla riapertura dei ristoranti e dall’allentamento delle restrizioni post-Covid.
Sugli indicatori della competitività delle filiere si segnala una interessante iniziativa di Nomisma. Denis Pantini, che ne è responsabile dell’agroalimentare, ha lanciato un nuovo indice: Agri4index. Indicatore che permette sia una sintetica valutazione delle diverse filiere agroalimentari sia un loro benchmark su scala internazionale e regionale. L’indice è basato su di un set di dati riguardanti: caratteristiche strutturali, dimensioni economiche-produttive, orientamento al mercato e performance tecnico-economico-finanziarie delle filiere prese in esame. Questo set di dati è alla base del punteggio che indica la strategicità della filiera per il sistema agroalimentare italiano e il suo posizionamento competitivo.
Infine, per il successo commerciale dei prodotti, si segnala uno studio dello Stern Center for Sustainable Business di New York condotto su 36 categorie di prodotti di largo consumo (non solo cibo) che rappresentano circa il 40% delle vendite totali: quelli che hanno adottato strategie di marketing basate sulla evidenza della sostenibilità, nel 2019 hanno raggiunto una quota di mercato del 16,1% rispetto al 13,7% nel 2015. Pur con questa quota ridotta, a loro si deve oltre la metà dell’incremento nelle vendite di tutti i prodotti considerati. I prodotti commercializzati evidenziando in modo chiaro e razionale i loro elementi di sostenibilità sono cresciuti di oltre sette volte rispetto ai similari convenzionali e di quasi quattro volte rispetto a tutti i prodotti di largo consumo, con una dinamica positiva anche durante il periodo della pandemia. Dunque, dare evidenza agli elementi di sostenibilità nei prodotti, ed in particolare ai benefici per l’ambiente, si dimostra essere un elemento di successo nelle vendite. Ma, per evitare truffe o abusi, diventa indispensabile una regolamentazione in materia soprattutto sui prodotti alimentari.