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Parkinson, proteina riaccende speranze per una cura

Una proteina riaccende le speranze di una terapia per il morbo di Parkinson. Si chiama Alfa-sinucleina ed è la protagonista di uno studio, in pubblicazione sul numero di novembre della rivista ‘Brain’, frutto della collaborazione di un pool di università, Irccs ed enti di ricerca italiani (Università Cattolica campus di Roma, Università di Perugia, Università degli Studi di Milano, Cnr di Roma, Università San Raffaele Irccs di Roma, Università di Roma Tor Vergata e Irccs Fondazione Santa Lucia), coordinati dal professor Paolo Calabresi, direttore della Uoc di Neurologia della Fondazione Policlinico universitario Gemelli Irccs e ordinario di Neurologia dell’Università Cattolica, campus di Roma.  

I ricercatori hanno indagato i meccanismi attraverso i quali la proteina alfa-sinucleina anomala si organizza e interferisce con la comunicazione tra neuroni, per poi portarli a una distruzione irreversibile (neurodegenerazione). “Per studiare questi aspetti – spiega Calabresi – è stato messo a punto un modello animale molto precoce e progressivo di malattia di Parkinson, causata dall’attività degli aggregati di alfa-sinucleina e in grado di riprodurre le fasi salienti della malattia osservata nei pazienti”.  

“Samo riusciti così a individuare i meccanismi attraverso i quali l’alfa-sinucleina alterata determina le prime manifestazioni della malattia. La speranza è che questo possa portare a scoprire nuove strategie terapeutiche, quali anticorpi monoclonali in grado di contrastare la diffusione della proteine. Queste immunoterapie – sottolinea il neurologo – avrebbero lo scopo di ‘insegnare’ al sistema immunitario a riconoscere precocemente l’alfa-sinucleina anomala, per distruggerla prima che arrechi un danno cellulare”.  

L’alfa-sinucleina rappresenta, insomma, “un target farmacologico promettente, una nuova frontiera per la ricerca di una terapia (e potenzialmente di una cura) per la malattia di Parkinson, che non sia più solo basata su farmaci che alleviano i sintomi, ma su terapie in grado di ritardare o bloccare la progressione della malattia”, chiosa Calabresi. 

Ma perché la strategia possa avere successo, è fondamentale la diagnosi precoce. La soluzione potrebbe ruotare di nuovo intorno all’alfa-sinucleina modificata, che è al centro anche delle sperimentazioni per la ricerca di biomarcatori di fase precoce e può essere misurata sia nel liquor che nel sangue. “Questo nuovo biomarcatore – prosegue Calabresi – potrebbe consentire in futuro di diagnosticare la malattia in fase precoce e di intervenire con strategie di medicina di precisione. Non sorprende dunque che l’alfa-sinucleina sia stata soprannominata la proteina della speranza”. 

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