Cultura

Da New York all'MdV, i maghi
della Street Art: ecco chi sono

Nuovi particolari sulla mostra che inaugurerà sabato 6 novembre alle 18,30 al Museo del Violino, “Made in New York – La vera origine della street art”, a cura di Gianluca Marziani e Stefano Antonelli, fino al 4 marzo 2022. Tre diverse mostre, la prima delle quali dedicata a Keith Haring e Paolo Buggiani, con una ventina di opere originali di Keith Haring, realizzate sui muri della metropolitana tra il 1981 e il 1983 e oltre 40 pezzi di Paolo Buggiani sui suoi progetti a New York, a documentare e attraversare simbolicamente la grande mela e tracciare la mappa di azioni e opere ormai estinte.

Una terza sezione sarà dedicata ai compagni di strada di Buggiani (David Finn, Richard Hambleton, Ken Hiratsuka, Jenny Holzer, Barbara Kruger, Les Levine, David Salle) con opere originali che appartengono al cuore antagonista degli anni Ottanta. Infine si vedrà una selezione di poster originali, fotografie e documenti video che ampliano i contenuti e gli immaginari di questa bellissima e indimenticabile storia universale.

LE RADICI – Mentre oggi dilaga nelle città il fenomeno murale definito genericamente STREET ART, questa straordinaria mostra analizza le origini di un movimento spontaneo che, da oltre quarant’anni, anima pareti, strade, edifici e ogni superficie su cui gli artisti imprimono nuovi codici della visione. Tutto iniziò a New York sul finire degli anni Settanta, quando la metropoli statunitense era il crogiolo di moti generazionali come graffitismo, rap, skateboarding e break dance. P

aolo Buggiani, toscano del 1933, da sempre con un piede in Italia e uno nella Grande Mela, accendeva l’antagonismo urbano tramite performance ad alto contenuto “politico”. Le sue azioni creavano scalpore e bellezza spontanea: immaginate una vela/ala di fuoco, pilotata dall’artista in tuta speciale e pattini a rotelle, sorta di saetta mitologica che tracciava linee d’energia nei viali di New York. Siamo a cavallo tra Settanta e Ottanta, quando Buggiani e amici usavano la metropoli come un museo a cielo aperto, tutto da inventare come mai accaduto finora. Tra quei giovani ce ne stava uno che sarebbe diventato una leggenda dell’arte contemporanea: il suo nome era Keith Haring.

La mostra traccia una demarcazione necessaria tra la cultura del Graffitismo (che è un singolo fenomeno espressivo, legato all’uso della bomboletta spray) e la dimensione ampia della Street Art (che include molteplici linguaggi, graffitismo compreso, in una dinamica relazionale con lo spazio urbano nelle sue forme espressive, sociali e culturali). Se oggi esistono autori mediatici come Banksy e Obey, il merito va dato a una generazione che sceglieva la strada, le dimensioni giganti, l’impatto collettivo, la libertà espressiva, le sperimentazioni sfrontate, l’irriverenza e la strafottenza che è solo dei giovani e dei rivoluzionari. MADE IN NEW YORK afferma l’autonomia e il valore storico della Street Art, da sempre una specie di mondo “alla Matrix” rispetto al panorama di gallerie e musei. Un universo eterogeneo, ricco di forme espressive, tematicamente infinito, eticamente impegnato e linguisticamente contaminato.

I PROTAGONISTI: PAOLO BUGGIANI – Artista itinerante, autore di improvvise apparizioni nelle città di tutto il mondo, Buggiani gioca con il mito e la metamorfosi. Tra le figure di cui imita le sembianze, ci sono quelle di Icaro e del Minotauro. Le macchine di fuoco che l’artista indossa durante le sue performance, documentate con video, realizzate negli anni tra le strade di New York, Monaco, Berlino, Parigi, Rio de Janeiro, e poi di ritorno alle rovine siciliane di Selinunte e alle terre della Maremma, cambiano lentamente il proprio aspetto. Le sculture di varie dimensioni in fibra di vetro, delle quali il fuoco ne traccia i contorni, sono cariche d’ironia e ammonizione nei confronti del mondo, della natura e della società, ma allo stesso tempo di riferimenti alla storia e alla mitologia della nostra cultura.

Buggiani è il pattinatore volante di New York che oppone la materia all’astrazione, l’anarchia alle regole del quotidiano. Le sue azioni hanno contribuito a sviluppare diversi tipi di lavoro: le fotografie della vecchia New York in stile liberty, recuperate in modo tangibile con effetti paragonabili a una camera oscura per un risultato ottico di “pittura sulla realtà” e in altri casi per una “pittura tridimensionale”. Altre sono composizioni che precorrono i tempi odierni come immagini di guerre contemporanee, alternate a interventi provocatori e sorprendenti da “sospeso” tra i grattacieli. Quello di Buggiani è, contemporaneamente, un messaggio di libertà, di ribellione, di pace.
Nato a Castelfiorentino il 9 maggio 1933, negli Anni Cinquanta Paolo Buggiani, partecipa alle ricerche d’avanguardia a Roma con Turcato, Burri, Dorazio, Accardi e Novelli. Appartengono a questo periodo le tele caratterizzate da gesti violenti che si “aprono” davanti allo spettatore, trasportandolo emotivamente dentro le passioni dell’artista.

La sua ricerca si è poi rivolta ad un coinvolgimento diretto con la realtà. Nel 1962 Buggiani si trasferisce a New York e si confronta con la Pop Art, il Living Theatre, la fotografia di ricerca. Incontra artisti quali Andy Warhol, Richard Avedon e Robert Frank, partecipando al clima di fermento del periodo con tele dagli elementi luminosi, in grado di evidenziare il valore cromoluminare in continuo dialogo con la pittura. Nel 1968 riceve una borsa di studio dalla fondazione Guggenheim – assieme, fra gli altri, a Donald Judd e Philip Guston – per la ricerca sulla scultura in America. Dal 1968 al 1979 Buggiani lavora tra Roma e Milano: sono di questo periodo le “Sculture Umane Sottovuoto”, i “Dipinti sulla Realtà”, “l’Arte Indossabile” e il “Fuoco come Arte”. Buggiani torna a New York nel 1979 dove, con le sculture di fuoco in movimento e le installazioni dei Rettili Meccanici da inserire nel tessuto urbano, compare tra i maggiori protagonisti del movimento della Street Art.

Nelle opere recenti l’artista torna a lavorare sul gesto e sul segno manuale come riti che rincorrono la memoria di un trascorso mai del tutto accantonato: si tratta di istanti fotografici registrati in ogni minimo dettaglio, poi interpretati con cromie accese e zone di contrasto luminoso, secondo l’istinto pittorico che si fa al contempo performance e happening. Dal 1979 l’artista divide la sua vita tra New York e il borgo medievale di Isola Farnese (Roma).

I PROTAGONISTI: KEITH HARING –  New York, fine anni Settanta: un ragazzino sconosciuto scendeva nelle stazioni della metropolitana e disegnava col gessetto sulle affissioni nere, le stesse che l’autorità affiggeva sopra le pubblicità scadute. Haring agiva in rapida sequenza, contro il volere delle guardie o sotto gli occhi dei passanti, scivolando via un attimo dopo l’esecuzione. I suoi motivi erano semplici ma unici e in breve sarebbero diventati il prologo di una rivoluzione creativa. Tutto è davvero partito nei sotterranei di New York, dal sottosuolo verso l’olimpo dei musei e delle grandi gallerie. La gente impazziva per quelle lavagne metropolitane: nessuna parola o colore, solo geroglifici semplificati che tutti capivano.

La mostra presenta circa 20 opere originali di quei giorni magici, salvate da sistematica distruzione e conservate da Paolo Buggiani, il primo ad intuire la potenza al presente ma anche il potenziale futuro di quel folletto geniale. A riprova della loro amicizia, un prezioso disegno di Haring ci mostra un uomo con le ali e una dedica: “Fotr Paolo”.

Keith Haring è nato a Kutztown, Pennsylvania, il 4 maggio del 1958. La sua vita artistica inizia nel 1978 alla New York School of Visual Art e, sempre a New York, si appassiona ai lavori di Jackson Pollock, Paul Klee e Mark Tobey. Inizia qui la sua creatività con la realizzazione dei primi graffiti, soprattutto nelle stazioni della metropolitana. La sua arte viene apprezzata, in particolar modo dai giovani, anche se per la sua attività (illegale) di writer è stato più volte arrestato. Nel 1980, anno del terremoto in Irpinia, partecipa alla rassegna “Terrae Motus”, voluta da Lucio Amelio per aiutare i bambini terremotati. Nel 1983 è a San Paolo, Londra e Tokyo. Arriva in Italia nel 1984 a Bologna, mentre nel 1985, a Milano, dipinge un murale nel negozio di Fiorucci. In seguito, il dipinto fu tolto dal negozio e venduto all’asta dalla galleria parigina Binoche.

Nel 1986 apre a New York un Pop Shop, dove mette in vendita gadget con le sue opere e dove è anche possibile osservarlo mentre dipinge. Sempre nel 1986 realizza un murale a Berlino sul tema dell’infanzia; subito dopo si reca a New York per dipingere ad Harlem un murale con le parole «Crack is Wack». Nel 1987 decora una parte dell’Hospital Necker di Parigi.

Nel 1988 apre un secondo Pop Shop a Tokyo e in quell’occasione riafferma la sua omosessualità; nei mesi successivi dichiara, su Rolling Stone, di essersi ammalato di Aids, motivo che lo porta a fondare la Keith Haring Foundation e supportare la lotta alla malattia. Nel 1989, a Pisa, presso la chiesa di Sant’Antonio Abate, esegue il suo ultimo murale, “Tutto mondo”, dedicato alla pace universale. Il 16 febbraio 1990, a New York, Keith Haring muore all’età di soli 31 anni.

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