Cronaca

Bullismo, la replica: "Scuola non si
nasconde, grande lavoro sul tema"

“La scuola non mette la testa sotto la sabbia, nè si nasconde”: Dopo la denuncia di Silvana Gambino, che ha raccontato in un libro il calvario della figlia a causa del bullismo, puntando il dito contro le scuole, arriva la replica di  Cinzia Cavalli, referente per la prevenzione del bullismo e cyberbullismo e uso consapevole dei social network della scuola media Virgilio, uno degli istituti in cui la ragazza ha vissuto le esperienze traumatiche di cui si parla nel libro.

“Il bullismo è un problema che prendiamo molto sul serio” evidenzia la docente. “Alla ragazza e alla sua famiglia va tutta la mia solidarietà, ma credo non sia giusto generalizzare né dire che le scuole sono un fallimento”. Anche se, certo, a volte si fallisce: “Non sempre gli interventi che mettiamo in piedi vanno a buon fine, certo, ma c’è un grande impegno. Un impegno che non si può limitare a richiamare e sospendere i bulli”.

Oggi il mondo scolastico interviene con progetti strutturati, che riguardano non solo i bulli, ma anche le vittime e le loro famiglie. “A quest’ultime si insegna a sviluppare la resilienza, mentre i bulli devono essere rieducati” commenta Cavalli. “L’espulsione non può essere la sola soluzione. Certo, i provvedimenti disciplinari ci sono, ma va fatto un discorso più ampio. La sfuriata in classe da parte dell’insegnante è solo controproducente”.

Se un tempo episodi come questi spesso passavano sotto silenzio, oggi il dibattito intorno al bullismo è aperto e più che mai attuale. Anche perché i casi non mancano. “Ce ne capitano numerosi, ogni anno” sostiene ancora la docente. “Il lavoro da fare è davvero tanto, e stiamo lavorando molto con la prevenzione, tanto che dal prossimo anno inizieremo addirittura dalla prima elementare”.

Il lavoro fatto coinvolge una serie di attori, che vanno dalla Prefettura ai servizi sociali del Comune: un coordinamento che agisce non solo per fornire sostengo psicologico alle vittime, ma anche e soprattutto per indirizzare le famiglie dei bulli. “Si fa capire loro che il singolo episodio può essere perdonato e che si convincerà la famiglia della vittima a non spogere denuncia, a patto che venga seguito un percorso strutturato di recupero” spiega Cavalli.

“L’intento è far capire ai ragazzi che ci sono possibilità diverse dalla violenza per stare in gruppo con gli amici. Ad esempio fare cose positive. In alcuni nostri laboratori i bulli hanno realizzato una libreria che hanno poi regalato ai bambini disabili”.

Ma tutto questo funziona? “Questi progetti hanno comportato un calo dei casi di bullismo” conferma la docente. “Certo, in certe situazioni un percorso di 2 o 3 mesi non basta, tanto che alcuni dei bulli individuati quest’anno stanno continuando il proprio percorso anche nei mesi estivi. Altri li abbiamo invece recuperati in tempi più brevi”.

L’intervento parte a seguito di episodi che vengono a conoscenza della scuola in svariati modi: su segnalazione della stessa vittima o di suoi amici, oppure attraverso i genitori. Altre volte sono gli stessi insegnanti ad accorgersi che qualcosa non va. “Naturalmente il primo step è quello di appurare i fatti, ossia cosa è avvenuto, quando e chi sono gli attori della situazione” spiega Cavalli. “Quando ho le prove contatto le assistenti sociali della prefettura, dottoressa Longari e Zanetti. A volte mi consigliano come agire, in altri casi si attiva il protocollo, che prevede prima un invito alla famiglia della vittima alla presenza dello psicologo per raccontare quanto accaduto, in modo da poter partire con un percorso di aiuto. Successivamente si valuta come convocare il bullo e la sua famiglia: a volte a scuola, altre direttamente in prefettura, alla presenza di uno psicologo e di un rappresentante delle forze dell’ordine. Gli si spiega che ha commesso un reato e che rischia la denuncia”.

Parte quindi un percosso che vede il coinvolgimento di psicologi ed educatori: “Bisogna cambiare il cervello di questi ragazzini”. Naturalmente se il percorso si rivela inefficace, “l’intervento passa alle forze dell’ordine.
In altri casi i reati sono talmente gravi che non rimane che denunciare il fatto fin da subito”.

Anche perché il bullismo spesso si sviluppa online, attraverso i social network, dove spesso diventa più esteso e dannoso. “Questa cosa si è vista in particolar modo nel lockdown, quando i ragazzi si trovavano forzatamente in casa e l’unica valvola di sfogo era il web. Per questo è importante lavorare sull’uso consapevole dei social. Anche in questi casi servre un’educazione, e molto passa dalla famiglia. I bambini iniziano ad aver un proprio cellulare a 8-9 anni e il mondo social è molto pericoloso a quell’età, quando non sanno come gestirlo. Senza contare il rischio di adescamento di minori”.

Anche quest’ultimo problema è tutt’altro che raro: “Abbiamo avuto quest’anno il caso di una bambina che ha avuto un tentativo di adescamento su Istagram, ma siamo riusciti a bloccarlo perchè la ragazzina ha subito segnalato la cosa alla madre e la madre ha chiamato me” conclude Cavalli. Il lavoro è tanto, ma la scuola è sempre presente”.

Laura Bosio

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