Cronaca

Dentro il campus di S.Monica
una storia lunga mille anni

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IN ORIGINE: UN MONASTERO BENEDETTINO – Quello che oggi è il campus universitario di santa Monica – seconda tappa della visita di Sergio Mattarella, dopo lo scoprimento della lapide alle vittime del Covid in piazza del Comune –  ha una lunghissima storia dietro di sé. Sorge nell’XI secolo come monastero benedettino di San Salvatore e nel 1470, a seguito di alcuni scandali, il Papa modificò la regola del convento, da benedettina ad agostiniana, con il conseguente cambio di denominazione.
Le condizioni fatiscenti del monastero resero necessari importanti lavori di ristrutturazione del chiostro, con la costruzione della nuova chiesa dedicata a S.Monica: l’attribuzione non è certa, ma l’opera potrebbe essere stata eseguita dall’architetto militare dei Visconti Ercole Polidoro.
La prima rappresentazione grafica del monastero si trova nella pianta di Antonio Campi del 1583, mentre le prime descrizioni della chiesa provengono dalle visite pastorali che i vescovi Speciano e Campori fecero rispettivamente nel 1601 e 1623: la chiesa era descritta come la più importante del complesso dei monasteri, con l’appellativo di “Duomo delle monache”, grazie alla sua imponenza e alla ricchezza degli arredi e delle opere d’arte.

Nel periodo di maggiore splendore nel monastero erano presenti oltre 100 religiose e una ventina di educande.
La chiesa viene poi adeguata al gusto seicentesco, è Giuseppe Natali a dipingere le cappelle laterali mentre Robert de Longe affresca la volta della navata centrale della chiesa esterna, quella cioè in cui poteva entrare il pubblico (un’altra parte era riservata alle monache).
E’ di metà Seicento anche la costruzione della muraglia che ancora oggi vediamo lungo via S. Tecla.

Il chiostro prima degli interventi

LA DECADENZA E LA TRASFORMAZIONE IN CASERMA Dal 1700 i primi segnali di declino del monastero: diminuisce il numero delle monache e si alza l’età media. Nel 1775 si contano 44 religiose, 15 oltre i 60 anni e 10 invalide.
Sotto il dominio austriaco prosegue la crisi del monastero, e nel 1805 arriva la soppressione degli ordini monastici da parte di Napoleone.
L’edificio, trasformato in caserma Goito, viene così destinato ad usi militari, il primo utilizzo è come maneggio dei cavalli, poi lo si usa come dispensa del pane e dei foraggi per i militari.
Molte le trasformazioni del complesso dopo l’Unità d’Italia: si demolisce la torre della chiesa e viene costruito il Magazzino Carri, proprio all’estremo limite occidentale, ora riqualificato ad aule e sale studio. In origine al piano terra c’era il ricovero dei carri e al primo piano le camerate.
Arriviamo al dopoguerra, quando gli ambienti del monastero vengono utilizzati per il ricovero di sfollati e profughi.

SI COMINCIA A IPOTIZZARE IL RECUPERO – L’idea di un recupero di Santa Monica e del più vasto sistema dei monasteri tra via Chiara Novella e via Bissolati arriva tra 1997 e 1998 con l’adozione del PRUSST (Programma di Recupero Urbano per lo Sviluppo Sostenibile del Territorio) “Un Po di Musica” che coinvolge Comune, Provincia, Fondazione Stauffer.
I contenuti del PRUSST vengono poi recepiti da un Piano di Recupero di iniziativa pubblica denominato “Parco dei Monasteri”, che dal 2002 al 2012 è valso come strumento urbanistico attuativo per tutta l’area degli ex monasteri.
Suo principale fautore era stato l’assessore all’Urbanistica Massimo Terzi che credeva fortemente nel recupero di tutti i monasteri abbandonati per realizzare una Cittadella della Musica. Con questa prospettiva, tutta l’area dell’ex Caserma Goito viene acquistata dalla Provincia di Cremona nel 2003 dall’Agenzia del Demanio. L’idea del parco dei Monasteri (oltre a S. Monica, S. Benedetto e Corpus Domini con relativi chiostri) tuttavia si dimostra impraticabile per gli altissimi costi e una mancata unità di intenti.
Ciononostante, durante il mandato di Giuseppe Torchio in Provincia, un primo lotto di lavori viene avviato grazie ad un contributo della Fondazione Cariplo di 2,5 milioni di euro ed a un mutuo della Provincia stessa: cambia l’idea di utilizzo, si fa strada quella di trasferirvi la Facoltà di Musicologia, sede distaccata dell’Università di Pavia.
Con la successiva Presidenza di Massimilano Salini la destinazione d’uso non viene confermata e, in accordo con Comune e Università di Pavia, viene deciso che il complesso S.Monica – caserma Goito diventi sede dell’amministrazione provinciale. Ipotesi che naufraga quasi subito, nonostante nel 2012 fossero ripresi i lavori in un’ala del chiostro, dove vengono ricavati alcuni uffici. I lavori terminano nel 2014, alla vigilia del drastico ridimensionamento delle funzioni delle Province ad opera della legge Del Rio.

LA SVOLTA CON LA FONDAZIONE ARVEDI BUSCHINI – Il progetto resta nel limbo, fino alla svolta del 2017: a novembre viene firmato il protocollo d’intesa tra Comune, Provincia, Università Cattolica e Fondazione Arvedi Buschini, per realizzare qui il nuovo Campus dell’università, la cui sede in via Milano non consente ulteriori sviluppi all’ateneo.
In virtù di un accordo di programma regionale, vengono suddivisi i compiti: Fondazione Arvedi si fa carico dell’onere della ristrutturazione dell’immobile; Regione Lombardia mette a disposizione 1.700.000 euro; la Provincia di Cremona, proprietaria dell’immobile, acquisisce l’immobile (precedentemente affidato in gestione al fondo immobiliare Prelios) mettendolo a disposizione del Comune; il Comune di Cremona garantisce un sostegno economico annuale per la gestione e la manutenzione e l’appoggio al progetto attraverso la costruzione di reti territoriali, nazionali e internazionali; l’Università Cattolica del Sacro Cuore provvede all’allestimento del nuovo campus e ad attuare la nuova proposta formativa.

I lavori durano meno di due anni: al piano terra dell’ex monastero vengono localizzate le funzioni di servizio alla didattica, come la zona segreteria/accoglienza negli spazi che una volta furono infermeria e parlatoi delle monache; spazi caffetteria e biblioteca nei locali un tempo refettorio e cucina dell’antico cenobio.
Sempre nella struttura dell’ex monastero trovano spazio i laboratori a servizio dei corsi di laurea (piano terra), le aule per i corsi master e gli uffici dei docenti (piano primo), oltre a laboratori e uffici del Centro di ricerca Cremona Food Lab.
Nell’ex chiesa di Santa Monica, dove vengono riportati alla luce gli affreschi della volta, è stata ricavata l’aula magna da 100 posti: l’intervento di restauro concordato con la Soprintendenza ha consentito di riportare all’originale splendore la struttura seicentesca della chiesa, mantenendo allo stesso tempo visibili gli interventi successivi di epoca militare.
L’ex Magazzino carri è divenuto spazio per la didattica e aule studio individuali.
Tutti i progetti didattici dell’università Cattolica sono fortemente legati alla filiera della produzione agroalimentare e hanno un forte carattere internazionale, con l’obiettivo di preparare generazioni di laureati capaci di contribuire allo sviluppo internazionale di questo segmento produttivo.

foto Sessa
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Qui potrà ulteriormente svilupparsi anche “Cremona Food Lab”, progetto di ricerca finanziato da Fondazione Cariplo e Regione Lombardia, che ha già creato una rete tra l’Università Cattolica e le aziende agro-alimentari del territorio, mettendo a disposizione impianti pilota, servizi di formazione e ricerca, attività che sono difficilmente alla portata di aziende medio piccole.
Attualmente presso il campus di Cremona la Cattolica offre due lauree triennali in lingua italiana (Economia aziendale e Scienze e tecnologie alimentari), quattro lauree magistrali di cui tre in inglese (Agricultural and Food Economics; Food processing: innovation and tradition; Livestock and agri-green innovation) e uno in italiano (Innovazione e imprenditorialità digitale); e due master di secondo livello. Giuliana Biagi

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