Spettacolo

Ponchielli, Macbettu in
scena mercoledì 12 maggio

“Uno spazio scenico vuoto, cupo, attraversato dai corpi degli attori che disegnano luoghi ed evocano presenze… pietre, terra, ferro, sangue, residui di antiche civiltà nuragiche, una Sardegna feroce e arcaica presta suoni, usi e costumi agli eroi shakespeariani”. Questo è Macbettu, tratto da William Shakespeare, per la regia di Alessandro Serra, in scena al Teatro Ponchielli mercoledì 12 maggio (ore 20.00).

Lo spettacolo, vincitore del Premio Ubu 2017, è una tragedia recitata in sardo e, come nella più pura tradizione elisabettiana, interpretato da soli uomini, dove la lingua non limita la fruizione, ma trasforma in canto ciò che in italiano rischierebbe di scadere in letteratura. Macbettu di Alessandro Serra “s’incunea in un crocevia: da un lato le intuizioni geniali del Macbeth di Shakespeare, dall’altra l’ispirazione del regista di fronte ai carnevali della barbagia”.

Della vicenda shakespeariana si recupera “l’universalità e la pienezza di sentimenti, millimetricamente in bilico sul punto di deflagrare”.  Di fronte ai carnevali sardi una visione: uomini a viso scoperto si radunano con uomini in maschere tetre e i loro passi cadenzano all’unisono il suono dei sonagli che portano addosso.

“Quell’incedere di ritmo antico, un’incombente forza della natura che sta per abbattersi inesorabile, placida e al contempo inarrestabile: la foresta che avanza”, così Serra descrive la suggestiva ascendenza da cui è scaturito il suo lavoro di contaminazione.

Macbettu t”raduce – e volontariamente tradisce – il suo riferimento testuale, valica i confini della Scozia medievale per riprodurre un orizzonte ancestrale: la Sardegna come terreno di archetipi, orizzonte di pulsioni dionisiache”.

La riscrittura del testo operata dal regista, trasferita poi in lingua sarda da Giovanni Carroni, guarda a una interpretazione sonora: gli attori sulla scena – uomini, come da tradizione elisabettiana – “decantano una lingua che è pura sonorità, si allontanano dal giogo dei significati per magnificare il senso”.

Lo spettacolo è “colmo di una meraviglia cupa, in grado di utilizzare elementi della tradizione, senza tuttavia fermarsi a una contemplazione statica, ma utilizzando i segni in modo schiettamente contemporaneo, per una resa ambigua, tragica ed affascinante”.
“Macbettu at mortu su sonnu”. Macbettu “inquieta con l’atroce bellezza di un racconto senza parole, in grado – come da tradizione barbaricina – di dire senza rivelare”.

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