10 anni fa chiudeva Tamoil. Pedretti
(Cgil): 'L'evento più forte mai vissuto'
Sono passati 10 anni dalla firma degli accordi ministeriali – uno riguardante i sindacati, l’altro gli enti locali – conseguenti alla decisione di Tamoil di chiudere la raffineria di Cremona e trasformarla in deposito.
“E’ stata una trattativa molto difficile, dal punto di vista professionale è stata la cosa più forte che abbiamo vissuto”, ricorda Marco Pedretti, segretario generale della Cgil di Cremona e allora segretario di categoria dei Chimici Cgil. “Teniamo presente che Cremona è piccola, conoscevo tantissime persone coinvolte nella chiusura della raffineria, ma in generale tutta la città è stata coinvolta in maniera molto forte.
E’ stata una vicenda molto pesante anche dal punto di vista fisico ed emotivo. Una vicenda molto complessa, intensa, sia sul fronte del rapporto con i lavoratori, sia su quello ministeriale. Penso che abbiamo fatto il massimo che si poteva fare, tenendo conto che eravamo dentro a un percorso già scritto: la chiusura della raffineria di Cremona è stata la prima di una serie, frutto di un cambiamento delle dinamiche industriali energetiche. Quello di Cremona era uno stabilimento già vecchio che avrebbe avuto bisogno di grossi investimenti per continuare. E poi erano già in atto le problematiche ambientali”.
Un’azienda che a Cremona aveva portato ricchezza, gli stipendi erano commisurati ai rischi per la sicurezza, ma che col tempo e con il crescere della sensibilità ambientale, aveva portato anche enormi problemi.
Il conflitto lavoro – ambiente è stato palpabile nei mesi successivi all’annuncio della chiusura e alla stipula degli accordi, anche se non si arrivò mai ad uno scontro diretto tra le maestranze e i gruppi ambientalisti, le prime protagoniste di varie manifestazioni pubbliche a difesa del lavoro. “Noi abbiamo fatto il massimo per ricollocare il numero più alto di persone”, afferma Pedretti. “Credo che abbiano ricevuto un trattamento che nessun’ altra azienda aveva mai avuto, all’interno di un dramma e tenendo conto del particolare settore di provenienza, quello di un’azienda che garantiva stipendi commisurati ai rischi che il lavoratore correva”.
Oltre alla cinquantina di lavoratori rimasti in deposito, oggi scesi a circa 36, altri accettarono il trasferimento in altre aziende del gruppo e poi vennero cercate soluzioni esterne. Come gli incentivi alle aziende che avessero assunto ex dipendenti Tamoil (10mila euro entro il primo anno dalla chiusura; 5mila entro il secondo); o la creazione di un fondo per le aziende dell’indotto.
“E poi – aggiunge il sindacalista – abbiamo accompagnato i lavoratori come per nessun’altra azienda. Anche il più giovane di loro ha avuto un accompagnamento di tre anni, due di cassa integrazione e uno di mobilità; oltre all’incentivo all’esodo di 85mila euro”.
Ciononostante le critiche da parte di molti addetti ci furono. “Questa non era nemmeno l’unica crisi in atto, eravamo nel 2010, nel pieno della crisi economica e molti altri settori non andavano bene. Ricordo bene quella notte, contavamo ogni singolo posto di lavoro in più che riuscivamo ad ottenere, compresi quelli delle aziende collegate perchè non c’erano solo i dipendenti diretti della Tamoil, ma ad esempio anche quelli del laboratorio. A un certo punto era saltato fuori che l’azienda voleva togliere i posti della portineria: mi alzai e dissi che piuttosto non avrei firmato”.
Gli aspetti ambientali? “Quella notte erano due i tavoli, uno sindacale, al quale avevamo partecipato fin dall’inizio come sindacati e quello con gli enti locali in cui venimmo coinvolti soltanto alla fine, per il varo del fondo per le aziende dell’indotto. Noi abbiamo monitorato quello che era di nostra competenza, per quanto riguarda l’ambiente non spettava a noi”.
Giuliana Biagi
Domani, giovedì 1 aprile alle ore 21 su Cremona1TV, speciale sul decennale della chiusura della raffineria con ospiti in studio e la proiezione di un documentario che ripercorre la tappe delle vicende storiche e processuali. A cura di Simone Bacchetta.