Cronaca

15 giorni di Dad e tre figli in casa: il racconto di una mamma freelance

Non è semplice avere un lavoro in proprio, da freelance, in zona rossa e con in casa tre figli di diverse età, tutti studenti in didattica a distanza. Attraverso il suo blog, moltodeco, Emmanuelle Paris, francese trapiantata a Cremona, architetto e giornalista, lo scorso anno aveva documentato il nostro lockdown mostrando il fascino di tanti scorci cittadini deserti e la bellezza dei nostri palazzi, spesso con gente alle finestre.

Oggi il blog è rallentato, gli articoli per le riviste specializzate sempre più diradati, la dad li ha  sopraffatti. Lo studio ricavato nella mansarda della sua casa in centro a Cremona, sempre più vuoto. Abbandonata a causa della pandemia la possibilità di visitare fiere e residenze, ora le necessità sono altre.  “Farò al massimo il 20% di quello che riuscivo a fare prima. La didattica  a distanza per i bambini delle elementari è incompatibile con il lavoro in casa, è impossibile concentrarsi”, ci racconta Emmanuelle.

“Nils richiede molto tempo, ha sempre bisogno di qualcosa e mi chiama. Adesso è in dad  da 15 giorni, la prima settimana è stata un divertimento, nella seconda si è annoiato e la prossima … mah. Da quando è costretto a seguire le lezioni in casa abbiamo preso un tablet tutto per lui; gli piaceva la matematica, ma con la dad ha la tendenza a spegnere la telecamera e così diventa invisibile. ‘Mamma voglio vedere gli amici’, mi dice”.

Sotto lo stesso tetto ci sono altri due figli: Eva, 15 anni, che frequenta la seconda al liceo Aselli, e Sam, 20 anni, studente di Economia a Milano: per entrambi le lezioni sono ormai da un anno  a distanza, con orari di collegamento ed esigenze molto diversificati.

“L’altro giorno – racconta Emmanuelle – mio figlio più grande ci ha chiesto se a una certa ora potevamo tutti andare fuori di casa, perchè aveva un esame. Ognuno ha la sua stanza, ma il rumore c’è lo stesso, a Nils ho messo gli auricolari, visto che la sua classe fa un gran baccano, ma appena può si mette a giocare a calcio nel soggiorno, abbiamo disegnato una porta su una parete. In un altro punto abbiamo messo un canestro. L’appartamento è su due piani ma la convivenza non è semplice”.

“Se mio figlio in terza elementare ha problemi di concentrazione, credo che la più penalizzata da queste lezioni a distanza sia mia figlia: praticamente i ragazzi delle superiori sono in dad da un anno, è davvero troppo. Alla loro età la socialità è importante e non potendo viverla a scuola e nemmeno fuori, questi ragazzi sono sempre attaccati al telefono, in chat con i loro amici. Stanno perdendo la motivazione allo studio”.

E per quanto le scuole superiori abbiano – in generale – fatto di tutto per coinvolgere i ragazzi anche se a distanza, nessuna sembra aver messo in pratica alcune cose apparentemente semplici per alleviare la  solitudine degli studenti: “Ad esempio, mi chiedo perchè non si sia pensato di svolgere le lezioni di educazione fisica facendo delle camminate per la città”, come era stato fatto tra settembre e ottobre, nel breve periodo di scuola in presenza. “Poteva essere un buon compromesso anche per farli un po’ muovere”, continua Emmanuelle.

Il soggiorno trasformato in ‘campo’ di calcio

“Direi che i ragazzi all’università sono quelli che riescono meglio a gestire questa situazione, sono più grandi e motivati, hanno scelto qualcosa che a loro piace”.

“Trovo che per la scuola si siano fatte scelte esagerate, non vedo per essa alcuna priorità. Vedo anziani che si ritrovano e chiacchierano in piazza, ma i ragazzi non possono  andare a scuola. In Francia i figli dei miei conoscenti e parenti non hanno mai smesso di frequentare le elementari e le medie. E solo se ci sono tre positivi in classe, allora la chiudono. Invece qui, nonostante alla Capra Plasio la classe di Nils non abbia avuto un solo caso di Covid, siamo tutti a casa”.

“La dad – conclude – per me non è una soluzione, si potevano praticare altre strade: dividere le classi, oppure a scuola una settimana sì e una no per motivarli di nuovo e mantenere un contatto con i coetanei”.

Giuliana Biagi

 

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