Cronaca

Giornata vittime del Covid Pia Abruzzi: 'Luciano ancora qui, grazie al bene che ha fatto'

Proprio un anno fa, in questi giorni, Luciano Abruzzi entrava in ospedale: colpito dal Covid, lui che da neurologo ospedaliero era stato fino all’ultimo in prima fila per assistere i malati che arrivavano di continuo in ospedale, sperimentava su se stesso le terribili conseguenze del virus. L’esito non sarebbe stato favorevole: circa un mese dopo, se ne andava in un letto della rianimazione del Policlinico di Milano.

Oggi, 18 marzo, giornata nazionale per ricordare e onorare le vittime del Covid, è la moglie Pia Rosani a ricordare il marito, il padre, il medico, che ha ricevuto tantissime attestazioni di stima. Amato dai suoi pazienti e dai collaboratori per la disponibilità, le doti umane, la professionalità. Ma anche persona con una grande gioia di vivere, appassionato di viaggi e di vela, attivo nei progetti di volontariato riguardanti la disabilità, come ‘Futura’, il centro di ippoterapia di cui la moglie è presidente. E’ proprio qui che abbiamo incontrato Pia Rosani.

“E’ una giornata particolare, oggi ricordo l’ultimo abbraccio che ho fatto a mio marito dopo una settimana in cui aveva cercato di curarsi in casa, per non andare a intasare – così diceva lui – il lavoro che stavano facendo i colleghi”.

“L’ossigeno che si poteva dare in casa però a un certo punto non bastava più e d’accordo con il dottor Bosio lo abbiamo portato in ospedale. Da quel momento in poi è stato un percorso faticoso, segnato dalla distanza che amplificava il dolore”.

I giorni passano tra videochiamate, invii di fotografie dal cellulare, “ma con la maschera d’ossigeno sempre sul viso, era difficile parlarsi. Si trovava nel reparto di Pneumologia  fino al 23 marzo, quando i medici ci hanno comunicato che a scopo precauzionale era meglio intubarlo e trasportarlo in terapia intensiva. Quello è stato un altro momento di allontanamento: niente più telefonata serale, quella che noi quattro a casa aspettavamo da tutto il giorno. Da allora in poi è stato il personale sanitario, gentile e premuroso, ma preso da mille emergenze, a tenerci informati. Erano i giorni in cui in ospedale a Cremona c’erano 55 persone ricoverate in terapia intensiva, il personale faceva i salti mortali”.

Quindi, la necessità di trasferire Luciano a Milano, al Policlinico. “Anche lì il personale è stato gentilissimo, ma la situazione clinica andava ogni giorno peggiorando, alternata ogni tanto a momenti di speranza”.

“A Pasqua si è svegliato, ha richiesto una videochiamata in cui con un gesto è riuscito a comunicarci un certo ottimismo, è stato quello il momento più bello dell’ultimo mese. Ma i danni del Covid erano stati talmente debilitanti che dal martedì in poi è stato un lento peggioramento. I medici mi dicevano: finchè lui lotta, lottiamo con lui. Poi, la sera del 19 aprile, alle 10, la telefonata che ci si ha spiazzato e ci ha messo di fronte a una realtà alla quale non eravamo preparati, anche se la gravità ci era nota. Una telefonata che ha cambiato completamente la nostra vita”.

“Ma il virus – continua Pia –  non ha cancellato il bene che Luciano ha fatto a tutte le persone che lo hanno conosciuto. Un bene che continua ancora adesso, come mi dimostrano i contatti con i colleghi, gli amici, i pazienti. Me lo manifestano in tutti i modi, con ricordi, messaggi, riconoscimenti. E’ grazie a questa vicinanza di chi l’ha conosciuto e apprezzato che riesco ad essere così forte.  Era una persona che c’era sempre per tutti, e il bene che lui ha fatto adesso torna a me, alla mia famiglia e ci permette di andare avanti”.

Infine il monito: “A distanza di un anno la situazione è ancora critica, pesantissima a livello sanitario. Non bisogna abbassare la guardia, sono i numeri che lo dicono: dietro questi numeri ci sono delle famiglie, dei figli, situazioni famigliari che vanno in tilt.

Mi arrabbio quando vedo che nei supermercati ormai nessuno si disinfetta più le mani. Mi sono stancata di sollecitare le persone a farlo, oltretutto mi rispondono in maniera non esattamente gentile. Eppure non ci sono ancora i presupposti per poter fare quello che vogliamo.

Quando si è provati personalmente, i numeri che si sentono nei telegiornali  hanno un peso diverso. Dietro questi numeri c’è tanta sofferenza e tutti noi possiamo dare un piccolo contributo per alleviarla”.

Giuliana Biagi

Videoservizio di Simone Arrighi

 

 

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