Cultura

Il convento perduto di San Domenico. In Biblioteca il libro di Adam Ferrari

La demolizione dI san Domenico in una delle lastre fotografiche di Aurelio Betri (1869)

Il convento di San Domenico, le sue opere d’arte andate disperse, i suoi legami con la Cremona spagnola e la Controriforma, sono stati al centro della presentazione del volume di Adam Ferrari “Il Convento di San Domenico a Cremona. Opere d’arte e inquisitori nella Lombardia Spagnola”, realizzata in streaming per iniziativa della Biblioteca Statale di Cremona e della direttrice Raffaella Barbierato, che ha introdotto la conversazione insieme a Marco Tanzi, storico dell’arte e docente all’Università del Salento.

 Il libro ha visto la luce nel 2019 e il ricavato della vendita è destinato alla Diocesi di Cremona, che ne ha curato la pubblicazione.

Un tema, quello della chiesa demolita in periodo post unitario, collocata dove ora sono i Giardini Pubblici, che da sempre interessa gli studiosi, come ha sottolineato Barbierato: “Quello che mancava era un’opera organica sulla vicenda di san Domenico, nella quale le vicende artistiche si intrecciano con tutto quanto è accaduto intorno al convento”.

“Incrociare i documenti d’archivio con le opere d’arte non è mai cosa semplice”, ha aggiunto Tanzi, “soprattutto per il San Domenico attorno al quale ruota gran parte della storia cremonese. Il convento dei Predicatori è stato al centro di una rete di conventi domenicani all’interno della quale si muovevano inquisitori di prima grandezza. Al loro seguito viaggiavano gli artisti di fiducia”, il che spiega il proliferare di dipinti tesi ad innalzare non solo la figura di san Domenico, ma anche quella dei potenti luogotenenti della Controriforma.

Un capitolo del libro è dedicato a Gianbattista Trotti detto il Malosso, protagonista, per il convento cremonese, della stagione di rinnovamento degli altari, con la realizzazione di pale di grandi dimensioni in sostituzione delle precedenti. Ne realizzò otto, di cui sei arrivate fino a noi, quattro delle quali custodite in Pinacoteca.

All’alba del Seicento, il Malosso non domina solo la scena pittorica cremonese, ma è anche un personaggio strettamente legato al potere: amico dell’inquisitore Pietromartire Visconti, per cui nel 1593 realizza l’Adorazione dei pastori conservata nel convento domenicano di Arma di Taggia, il suo nome figura nella lista ristretta dei “crocesignati” del Sant’Uffizio, con sede proprio nel convento cremonese, a cui era consentito di portare con sé qualunque tipo di arma, a dispetto dell’autorità spagnola che dominava il ducato di Milano.

Sempre al Malosso venne affidata la decorazione della cappella del Rosario, questa volta ad affreschi, andati perduti, al pari della tomba di Stradivari, venuta alla luce durante la demolizione della chiesa, collocata proprio sotto il pavimento della cappella.

Gli inquisitori sono appunto i grandi committenti di quest’epoca: proprio per il San Domenico fra Giulio Mercori commissionò un imponente tabernacolo in marmi policromi e metalli, ora custodito nella chiesa di Canneto Pavese, “pezzo strepitoso”, secondo Tanzi, che meriterebbe ben altra valorizzazione.

Dopo aver passato in rassegna, in nove capitoli, la produzione artistica fiorita all’interno del complesso domenicano e che oggi si trova dispersa tra collezioni private, chiese e musei, l’autore arriva nel decimo e conclusivo capitolo al periodo delle soppressioni napoleoniche che portarono al declassamento di San Domenico a parrocchia sotto la giurisdizione della Cattedrale.

Il clima anticlericale diventa via via più forte dopo l’Unità d’Italia e i tentativi di salvare la chiesa risultano vani: di quello che fu, restano le lastre fotografiche di Aurelio Betri.

23 dipinti sono sopravvissuti e hanno costituito il nucleo della Pinacoteca cittadina; altri quattro decorano altrettanti altari della diocesi; altri ancora fanno parte di collezioni private. gb

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