"Allarmismi ingiustificati"
"Allarmismi ingiustificati"
Lo scorso aprile, vinto dal Covid, si era spento all’ospedale di Cremona il dottor Luciano Abruzzi, neurologo al Maggiore, professionista amato e stimato dai colleghi e dai pazienti per la grande disponibilità e il sorriso sempre pronto. Ora tocca al figlio Dario, 27 anni, seguire le orme professionali del papà. La carriera di Dario, che ha cominciato la specialistica in Ortopedia a Pavia, ha preso il via quando il papà si è ammalato. Il giovane medico si era laureato da pochi mesi e in quei giorni cominciavano ad arrivargli le prime offerte di lavoro.
“Il 23 marzo i medici dell’ospedale di Cremona raggiungono il letto di papà”, ha raccontato Dario sulle pagine del ‘Corriere della Sera’, “e gli spiegano che lo intuberanno per mettere a riposo i polmoni”. Quella mattina Dario aveva scritto a suo padre. “Faccio in tempo a dirgli che due ore prima mi era arrivata la notizia dell’abilitazione: ero diventato un medico a tutti gli effetti. È stata la prima persona a cui l’ho scritto. Mi ha risposto dopo tre minuti: ‘Bravo, adesso tocca a te’. È stato il suo ultimo messaggio”.
“In quei momenti”, ha detto Dario, “ho capito che sarei diventato ciò che lui aveva smesso di essere: un medico amato, stimato da tutti, che aveva dato la sua vita al lavoro, ai suoi pazienti. Comincio a fare i primi turni di guardia medica, poi trovo posto in un centro di riabilitazione: tutti pazienti reduci dal Covid. I colleghi mi raccontavano cosa avevano vissuto nella prima fase dell’emergenza, di quei pazienti morti e chiusi nei sacchi neri. Non ho mai voluto crederci: quando pensavo a papà, poi, la mia mente si rifiutava… Però negli occhi degli anziani che erano usciti da quell’incubo vedevo la speranza, era tutta gente che ce l’aveva fatta. E questo mi ha aiutato, prima di arrivare qui a Pavia”.
L’insegnamento di Luciano Abruzzi a suo figlio? “Non si è mai arrivati. L’ho visto rimettersi a studiare, quando si è arruolato nel reparto Covid. Ora quando ai miei ‘pazienti’ dico il mio cognome, alcuni si illuminano e tirano fuori le storie di papà. Questo mi mette un po’ di ansia da prestazione, ma significa che mio padre ha lasciato davvero il segno. E io voglio onorare il suo nome”.
Questa storia Dario l’ha raccontata anche al Papa che a giugno l’ha invitato in udienza.