Cronaca

Business illeciti nell'edilizia. Per Iannone cade aggravante mafiosa: 9 anni e 6 mesi

Caduta l’aggravante di stampo mafioso per Giovanni Iannone, a processo insieme ad altri nove imputati coinvolti in attività illecite legate principalmente a truffa, appropriazione indebita, bancarotta fraudolenta e riciclaggio attraverso società edili e di movimento terra. Per lui, condanna a 9 anni, 6 mesi e 2.500 euro di multa contro i 10 anni, 2 mesi e 4.500 euro di multa chiesti dal pm Lisa Saccaro. “Non sono un mafioso”, ha sempre detto Iannone, 60 anni, originario di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone, difeso dall’avvocato Raffaella Parisi. Iannone è stato condannato per quattro bancarotte fraudolente, una estorsione e una truffa.

Condanne minori anche per gli altri imputati: Stefan Dragos Babei 8 mesi, pena sospesa, Antonio Del Ponte 3 anni, Walter Mair 4 anni e 1.200 euro di multa e Mattia Confortini 3 anni e 900 euro. Per gli altri, sentenze di assoluzione e di non doversi procedere per intervenuta prescrizione.

L’accusa era quella di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, all’appropriazione indebita, al riciclaggio, al falso documentale, al trasferimento fraudolento di valori, ad atti estorsivi, a distrazione di beni, a dichiarazione fraudolenta con fatture per operazioni inesistenti.

L’operazione cremonese su edilizia, illeciti e presunti legami con la ‘ndrangheta era culminata nell’aprile del 2015 e aveva portato all’arresto di dodici persone, tra cui Iannone, considerato capo dell’intero sodalizio.

Il quadro accusatorio ruotava attorno all’appropriazione illegale di mezzi da lavoro noleggiati o in leasing attraverso società del settore (aperte o acquisite quando in difficoltà) e prestanome. I mezzi, i cui valori potevano arrivare a 100-200mila euro, finivano a ricettatori italiani e stranieri e prendevano in particolare le vie dell’Albania e della Libia. Ne sarebbero spariti a decine.

Un’indagine complessa e lunga, fatta di intercettazioni telefoniche e ambientali, di pedinamenti e di appostamenti. Emersi anche metodi violenti nella gestione delle società, ad esempio nella riscossione di crediti. Secondo quanto ricostruito, le società venivano spolpate e utilizzate per propositi criminali prima di fallimenti pilotati. Nel corso dell’indagine è stato possibile ricondurre all’organizzazione, nel complesso, otto società, tutte operanti nel settore del movimento terra e attualmente dichiarate fallite.

Le investigazioni hanno inoltre documentato presunti rapporti tra il sodalizio di Cremona e alcuni personaggi legati alla ‘ndrangheta del Crotonese, tra cui Francesco Lamanna, ritenuto il referente nel Cremonese della cosca Grande Aracri di Cutro.

In aula il 18 febbraio dell’anno scorso aveva testimoniato Salvatore Muto, diventato collaboratore di giustizia a ottobre del 2017. Muto, sentito in videoconferenza di spalle dal carcere in cui è rinchiuso, aveva detto che Giovanni Iannone aveva ricevuto il ‘battesimo’ per entrare nella ‘ndrangheta, e che era alle dipendenze di Lamanna, che Iannone conosceva dagli anni ’80. “Quando si fa parte della ‘ndrangheta’, aveva sostenuto il pentito in una lunga deposizione, “si decide la morte o l’affiliazione di qualcuno. Una volta che si entra non si può più uscire, tranne in caso di grossi problemi di salute, per cui si viene messi a riposo”.

Proprio in seguito a quella testimonianza, a Iannone era stata contestata l’aggravante di stampo mafioso.

Per la stessa indagine erano già stati condannati Antonio Iannone, crotonese, il figlio di Giovanni, e Carlo Iannone, fratello di Giovanni. Antonio e Carlo erano già stati processati con il rito abbreviato e condannati, Antonio a due anni e sei mesi, e Carlo a sei mesi. Molti episodi erano caduti in prescrizione. Antonio era stato condannato per un episodio di bancarotta fraudolenta, mentre Carlo per una truffa.

Sara Pizzorni

© Riproduzione riservata
Caricamento prossimi articoli in corso...