Castelli: ‘Trasformiamo la crisi in un'occasione per pensare al futuro’
“Un’inaugurazione dell’anno giudiziario anomala, ancora pesantemente condizionata dall’epidemia che ha stravolto le nostre vite da ormai quasi un anno, che ha messo in dubbio e cancellato abitudini e stabilità economica, che ha cambiato il modo di lavorare dei magistrati, del personale, degli ufficiali giudiziari, degli avvocati”.
Lo ha detto questa mattina a Brescia il presidente della Corte d’Appello Claudio Castelli durante la tradizionale cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario.
Quest’anno, proprio per il rispetto delle norme anticovid, alle altre province del Distretto, che oltre a Brescia comprende i territori di Cremona, Mantova e Bergamo, è stata data la possibilità di collegarsi, presso i rispettivi tribunali, con il pala giustizia di Brescia per seguire in diretta la cerimonia.
“Abbiamo dovuto inventarci rigorose cautele sanitarie”, ha detto il presidente Castelli nella sua relazione, “valorizzare gli accessi e il lavoro da remoto, mettendoci nelle condizioni di garantire attività e servizio. L’epidemia ci ha messo a nudo costringendoci a sperimentare nuovi istituti, come le udienze da remoto e le comunicazioni via Pec che si sono rivelate di grande interesse e tali da poter diventare preziose indicazioni per il futuro.
Questo in una situazione di perenne sottodimensionamento degli organici di magistrati e personale e di ampia scopertura degli stessi. Un grande merito è stato quello di non essersi fermati e di avere continuato l’attività al massimo livello possibile, compatibilmente con le esigenze di sicurezza. I risultati che possiamo vantare sono ottimi”.
“È tempo”, ha aggiunto Castelli, “di essere coraggiosi e di ripensare la giustizia che vorremmo, una giustizia più vicino ai cittadini, più fruibile, più comprensibile, più equa. L’epidemia ha sconvolto tutti i nostri parametri e dovremmo cercare di trasformare la crisi in occasione. Dobbiamo avere l’ambizione, una volta finita questa drammatica epidemia, di tornare non alla precedente normalità, ma ad una giustizia migliore, che sia per tutti, operatori e cittadini, ampiamente soddisfacente”.
Alla cerimonia è intervenuta anche Alessandra Dal Moro, rappresentante del Csm, che ha citato come modello per i magistrati, “il piccolo giudice” tratteggiato nel romanzo “Porte aperte” di Leonardo Sciascia. La Dal Moro ha affrontato il tema della crisi del Csm dopo il caso di Luca Palamara e delle nomine pilotate. “Quel che è apparso successivamente consente di percepire l’ampia diffusione della grave distorsione che ha caratterizzato in diversi contesti l’attività del governo autonomo della Magistratura.
Spetta ancora a noi, a ciascuno di noi, scrivere queste nuove pagine. Lucidità e franchezza impongono di riconoscere che i gravi fatti emersi non possono essere liquidati come degenerazioni eccezionali, ma come l’esito delle progressive modificazioni, in termini di caduta della tensione morale, prodottesi nel corso degli anni all’interno del corpo della magistratura e della sua rappresentanza al Consiglio”.
Secondo la rappresentante del Csm, è necessario “riflettere con grande attenzione sulla ossessione per la carriera che ha pervaso i magistrati; sulla insoddisfazione diffusa per il lavoro giudiziario quotidiano, spesso indotta dalla pressione del suo enorme carico. E soprattutto sull’oblio di una norma bellissima, felice intuizione dei costituenti, l’art. 107 della costituzione, quella secondo la quale i magistrati si differenziano solo per funzioni.
Ma se vogliamo davvero affrancarci dal correntismo deteriore e dal carrierismo che lo ha alimentato, non possiamo limitarci a ‘sanzionare’ i singoli casi, e dobbiamo riconoscere che quanto emerso è stato alimentato da evidenti distorsioni che hanno interessato tutti i gruppi associativi, chiamando in causa, da un lato, le responsabilità di chi gestisce i ruoli istituzionali e, dall’altro, le aspettative individuali di coloro che ai primi si rivolgono”.
“In questa prospettiva”, ha concluso la Dal Moro, “il Consiglio ha avviato un percorso di ricostruzione di una idea della magistratura e degli uffici giudiziari nuovamente ancorata al precetto costituzionale. Una magistratura di uguali. Un modello organizzativo orizzontale e non verticistico. Un ufficio giudiziario ove la dirigenza è servizio, e non potere.
Tutto ciò per ribadire che la ‘carriera’ non esiste, e che, invece, va valorizzato l’esercizio delle funzioni giudiziarie, con professionalità, onore e disciplina”.
Sara Pizzorni