Cronaca

Quei tamponi inviati negli Usa: 'In procura a Cremona nessuna inerzia'. Accolto il reclamo

Il procuratore Pellicano

Secondo la procura di Cremona, da quell’inchiesta su 500 mila tamponi inviati negli Usa il 16 marzo scorso non erano emerse notizie di reato. L’indagine era infatti finita in archivio la scorsa estate. Ma la procura generale di Brescia aveva avocato a sè l’indagine, ipotizzando invece i reati di epidemia colposa, omicidio colposo e lesioni colpose, abuso d’ufficio e omissione di atti d’ufficio. Una mossa non gradita al procuratore della Repubblica di Cremona Roberto Pellicano che aveva presentato alla Cassazione un reclamo contro l’avocazione. Alla fine la procura generale della Corte Suprema ha dato ragione a Cremona, non rilevando, nelle decisioni prese dal procuratore, “quelle disfunzioni che il potere di avocazione mira a correggere”.

Il carico era partito dalla base Usa di Aviano con destinazione Stati Uniti. A bordo c’erano 500mila tamponi realizzati dalla Copan, l’azienda bresciana leader mondiale nella produzione dei cotton fioc utilizzati per riscontrare la positività al Covid. A segnalare le presunte irregolarità era stato un esposto con il quale si chiedeva alla magistratura di fare chiarezza sull’operazione avvenuta in un periodo, lo scorso marzo, quando in piena prima ondata all’Italia mancavano tamponi. Nell’esposto si ipotizzava una relazione tra la mancata esecuzione dei tamponi, e quindi la mancata tempestiva individuazione del Covid 19, e i decessi avvenuti nelle prime settimane dell’epidemia.  In più era riportato il fatto che il regolamento di Esecuzione della Commissione Ue dello scorso 14 marzo avrebbe vincolato per sei settimane l’esportazione dei dispositivi di protezione individuale «alla preventiva autorizzazione delle autorità competenti dello Stato membro in cui l’esportatore è stabilito».

La Cassazione, nel motivare la sua decisione, parla di “genericità delle affermazioni contenute nell’esposto sulla rilevanza, nella catena causale rispetto agli eventi lesivi, di determinazioni frutto di scelte politiche complesse a fronte di una emergenza sanitaria del tutto nuova che ha imposto misure urgenti modificate man mano che si accresceva il bagaglio informativo anche scientifico”. “La denuncia”, dunque, “non appare connotata da quei criteri di concretezza necessari per potersi qualificare notizia di reato”. La Cassazione, inoltre, richiamando il regolamento di Esecuzione della Commissione Ue, sottolinea che “oltre a non prevedere sanzioni penali, riguardava solo i dispositivi di protezione individuali (mascherine, indumenti, guanti), beni diversi dai kit esportati negli Usa”. Per la Suprema Corte, “la decisione della procura di Cremona di qualificare l’esposto come fatto non costituente reato non può, pertanto, definirsi arbitraria, rientrando nelle legittime prerogative dell’organo a ciò istituzionalmente deputato”. “Altrettanto esente da censura”, scrive la Cassazione, “appare la determinazione dell’Ufficio requirente di Cremona di trasmettere in archivio l’esposto: una scelta in cui non pare emergere alcun profilo di inerzia o comunque di patologia nella gestione delle notizie di reato, ma che si rivela una legittima espressione del potere di scrutinio dell’Ufficio del pubblico ministero nell’analisi dei fatti portati all’attenzione dello stesso alla luce di un’esposizione che non consentiva neppure di orientare eventuali indagini”.

Sara Pizzorni

 

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