Cronaca

La scomparsa di Massimo Marcocchi nel ricordo dell'amico Meo Gnocchi

La mia conoscenza di Massimo è andata configurandosi nei primi anni ’50, gli anni – per lui – dell’università. Già mi era noto come compagno di classe, al liceo, di mio fratello, ma un vero rapporto personale con lui ha avuto inizio allora, e più ancora negli anni seguenti, quando all’università sono approdato io e lui, di tre anni maggiore di me, ha cominciato a percorrere il doppio binario della sua carriera di studioso e di docente, costretto per non poco tempo a conciliare la ricerca universitaria con l’insegnamento medio; un insegnamento di cui i suoi allievi della scuola media, dell’istituto magistrale e dell’istituto tecnico serale conservano un vivissimo e grato ricordo.
Il tempo dell’università era stato per lui anche il tempo dell’alunnato al Collegio Borromeo di Pavia, retto da quella notevole figura di prete e di letterato che fu Cesare Angelini, del quale Massimo assimilò la finezza intellettuale e l’apertura degli orizzonti culturali. E il suo impegno culturale si alimentò e si sviluppò nella frequentazione della FUCI, con cui egli mantenne sempre un intenso legame anche nei tempi successivi.
Il suo studio e il suo insegnamento accademico, rivolti alla storia del cristianesimo (dapprima all’università di Pavia, poi alla Cattolica di Milano) si concentrarono principalmente sulla Riforma cattolica, mantenendo però sempre un’acuta attenzione alle vicende della cultura e della chiesa contemporanea; e sotto questo profilo ricevettero un forte impulso dall’evento del Concilio Vaticano II. La stagione del Concilio fu un momento di straordinario fervore nella vita e nell’impegno intellettuale e spirituale di Massimo, che visse quell’evento con appassionata partecipazione e ne diffuse i fermenti nella realtà locale.

La Chiesa e la cultura cremonese gli devono molta riconoscenza per quest’opera vivificante, espressa anche mediante le iniziative del Gruppo Laureati Cattolici di cui era presidente in quegli anni. Grazie a queste iniziative passarono da Cremona studiosi e testimoni di alto significato, da Alberto Bellini a Ernesto Balducci a Germano Pattaro, e la cristianità locale si aperse ai temi e alle speranze del movimento ecumenico. Se Cremona conobbe e coltivò l’ecumenismo ne va riconosciuto il primo merito a Massimo Marcocchi; e non è privo di significato il fatto che tra le persone che più lo hanno seguito e confortato negli anni della malattia sia stato il pastore valdese Paolo Ricca.
Condividevano con Massimo quest’azione ecclesiale e culturale l’assistente del Gruppo don Franco Voltini e il presidente diocesano del Movimento Laureati Giuseppe Casella, con i quali Massimo intrecciò una intensa amicizia e un fervido scambio spirituale. Per Casella, in particolare, mantenne sempre un sentimento di illimitata stima e di profonda devozione, quasi da discepolo a maestro.
Anche negli anni successivi, nell’alternarsi di ombre e luci nella vita della Chiesa e nella storia nazionale e mondiale, Massimo tenne fede a quell’impegno di formazione e promozione culturale a cui aveva indirizzato la sua vita di studioso e di cristiano, nel segno di quella “carità intellettuale”, appresa alla scuola di Giovanni Battista Montini, poi papa Paolo VI, che rimase uno dei fari del suo cammino. In questo spirito egli si prodigò nella preparazione e nello svolgimento del Sinodo diocesano, nelle celebrazioni commemorative di Geremia Bonomelli e in vari altri momenti e atti della vita ecclesiale e civile nella nostra città e del nostro territorio.
Della sua presenza e della sua attività sono stato personalmente ricettore e fruitore, traendone frutto e stimolo. Gliene devo riconoscenza.
Meo Gnocchi

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