Cronaca

Vent'anni fa moriva Renzo Bodana, curatore su Mondo Padano della pagina del dialetto

Vent’ anni fa, il 16 ottobre dell’anno 2000, moriva Renzo Bodana, curatore su Mondo Padano della pagina del dialetto. Egli ci lasciò, nella sua casa di Migliaro, all’improvviso, come un fiammifero reso muto da un impercettibile soffio di vento. Renzo era un uomo buono, amato in famiglia e stimato da tutti, sia nel mondo della scuola che egli aveva frequentato per una vita come insegnante di lettere, sia in quello della parrocchia, così come in quello del volontariato culturale nelle vesti di attivo animatore dell’associazione del “Zàch”, sodalizio cardine della valorizzazione del dialetto nel nostro territorio.

Ebbi per diverso tempo il piacere di collaborare con lui, intessendo un lunghissimo dialogo sulle cose, sul mondo, sulla vita.  Un giorno mi telefonò chiedendomi se mi sentissi di portare avanti da solo l’ esperienza della pagina e mi fece capire che gli avrei fatto un torto se gli avessi risposto di no. Dopo le mie prime titubanze ed incertezze egli insistette e così avvenne il passaggio di testimone. A Renzo devo questo ed altro. Egli mi è stato maestro nell’avvicinare il dialetto, nell’ascoltarlo sulla bocca della gente, nel raccoglierlo come in una vendemmia e renderlo godibile nel riporto sulla pagina scritta.  Renzo mi ha lasciato in eredità il senso alto della moralità del dialetto, della ricchezza e del rigore dei valori della gente dei campi; valori che sono un tutt’uno con la lingua madre della civiltà contadina cremonese.

Per Renzo anche nel dialetto, riverbero del Creato, si può cogliere l’ eco di Dio. “Ma come, caro Renzo, ma come?”, gli chiedevo.  “E’ un problema d’orecchio o un problema di cuore?”. “E’ una immagine, quella di Dio, che viene creata dal sentimento o il sentimento è lo specchio di Dio messo in ogni uomo?”. “Dio è una parola che riempie il mondo o Dio è la parola, il Verbo?”.

Questo chiedevo a Renzo e Renzo mi rispondeva, paziente, con ragionamenti lunghi, l’uno infilato all’altro come grani di un rosario. Non dovevo aver fretta quando andavo a casa di Renzo, perché non si può aver fretta nel ricevere risposte collegate a dimensioni che si muovono al di fuori del tempo.  Egli mi “annaffiava” di parole e di concetti come se io fossi un campo arido da riportare a coltivazione.  Ma ritornando al terreno del dialetto, devo dire che egli mi ha fatto crescere, un poco alla volta, come in ogni serio rapporto educativo, da magüt a müradùur, facendomi portare mattoni de tèra grèga o di fornace per le opere di restauro per quella nostra casa del dialetto che deve essere continuamente restaurata e tenuta in vita.

Agostino Melega

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