Cronaca

Botte, minacce di morte e telefonate alla ex. 3 anni e 6 mesi a Montanari per stalking

L’avvocato Cortellazzi

Tre anni e sei mesi di reclusione. Il giudice del tribunale di Cremona ha accolto la richiesta del pm, condannando per stalking Claudio Montanari, 35 anni, cremonese, responsabile di aver stalkizzato la sua ex, Caterina, 27enne cremonese. Per la donna, parte civile attraverso l’avvocato Massimiliano Cortellazzi, è stato disposto un risarcimento di 15.000 euro. L’imputato era difeso dagli avvocati Giovanni Benedini e Giancarlo Rosa.

La coppia si era conosciuta nel dicembre del 2015 e un anno dopo era andata a convivere nella casa di lei, che gestiva un bar in via Mantova e dove lui faceva il barista. I problemi erano iniziati nel settembre del 2016. “All’inizio i litigi avvenivano in casa”, aveva già riferito Caterina in aula. “Lui mi picchiava, mi dava pugni nelle costole, mi strappava i capelli, volevo interrompere la relazione e volevo che se ne andasse”. Da quel momento, secondo l’accusa, Montanari aveva messo in atto una serie di comportamenti persecutori che a dicembre del 2016 avevano portato il questore a notificargli un provvedimento di ammonimento. Ma non era servito, tanto che era stata applicata una misura cautelare di divieto di avvicinarsi all’ex fidanzata. Ma le telefonate minatorie, le minacce, le botte erano andate avanti, e a quel punto, a fine giugno del 2017, la squadra mobile lo aveva arrestato. Il 3 luglio successivo, però, l’ex gip di Cremona Cristian Colombo lo aveva scarcerato: secondo il giudice, non si trattava di stalking, ma di molestie. La svolta era arrivata il 27 ottobre con un secondo arresto avvenuto in esecuzione al provvedimento emesso dal tribunale del Riesame di Brescia davanti al quale il pm aveva impugnato l’ordinanza con cui il gip Colombo aveva rigettato la richiesta di convalida dell’arresto. Il caso era poi arrivato davanti alla Cassazione che aveva dichiarato inammissibile il ricorso della difesa.

“Una situazione allucinante”, aveva riferito in aula la stessa Caterina, finita poi in cura da uno psichiatra e costretta a prendere farmaci. “Mi metto a piangere, non vado più in giro da sola, sono chiusa in casa e di notte non dormo”. Fatti confermati dal suo psichiatra che la segue dal gennaio del 2018. Il medico le ha diagnosticato un “disturbo post traumatico da stress, patologia caratterizzata da ansia costante e vita sociale e relazionale compromessa”.

In aula, Caterina aveva raccontato di quando il suo ex si era presentato al bar minacciandola di morte e dandole della prostituta, di quando era arrivato e aveva spaccato tutto nel magazzino del locale, di quando era stata costretta a lasciargli la casa e a trasferirsi in un albergo. E ancora, il ritrovamento dei pneumatici della sua auto tagliati e una scritta offensiva sulla portiera, striscioni minacciosi appesi dal balcone della casa che Montanari aveva preso proprio di fronte al bar di lei, le scritte sui vetri del locale, le continue telefonate, anche di notte, le minacce ai suoi familiari, ai genitori e al fratello e al suo nuovo compagno. In una di queste occasioni, l’imputato si era presentato armato di coltello. “Un giorno nel locale mi erano arrivati dei fiori da un anonimo”, aveva ricordato Caterina. “Lui se n’è accorto, li ha presi, li ha strappati e buttati per terra e io poi li ho trovati appesi alla ringhiera legati a testa in giù”. “Ho dovuto anche chiudere il bar per un mese”, aveva detto la ragazza. “Non ce la facevo più”.

“Questa vittoria”, ha commentato l’avvocato Cortellazzi, “in un processo per un caso pesante come questo, che si chiude con la condanna dello stalker, già arrestato per gli atti persecutori anche violenti posti in essere in modo reiterato, deve infondere coraggio e fiducia nella giustizia in tutti coloro, non solo donne ma anche uomini, e ce ne sono tanti, che hanno subito e subiscono continue prepotenze, violenze fisiche e psicologiche, aggressioni verbali e comportamentali. Non bisogna mai rinunciare a difendersi e a lottare per i propri diritti, credendo al luogo comune che, tanto, in Italia, i colpevoli la fanno sempre franca. Non è assolutamente vero”.

“Se nessuno potrà restituirmi il tempo vissuto nell’angoscia e nel terrore”, ha detto a sua volta la vittima, “il riconoscimento giudiziale di ciò che sono stata costretta a subire, e della falsità di quanto sostenuto dalla parte avversa, consentirà,  finalmente, a me e ai miei cari di voltare pagina e ricostruire la nostra vita”.

Secondo la difesa, invece, “c’erano elementi oggettivi versati nel processo che avrebbero potuto portare ad un altro segno.Li sottoporremo di nuovo, fiduciosi, alla corte d’appello”.

Sara Pizzorni

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