Strategie a tutela del miele, eccellenza italiana da difendere dal clima e concorrenza sleale
Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna. È in queste regioni che si concentra il maggior numero di alveari presenti nel nostro Paese: circa 1,5 milioni, il 76% dei quali gestiti da apicoltori commerciali che allevano le api per professione (fonte: elaborazione Osservatorio nazionale miele su dati Ismea).
In Lombardia, nello specifico, si contano 87.391 alveari professionali e 62.176 per autoconsumo per un totale di 149.567. Primeggia su tutti il Piemonte, con un totale di 205.587 seguito dall’Emilia Romagna con 120.201 alveari.
Secondo i dati diffusi dall’Osservatorio nazionale miele, l’andamento produttivo e di mercato nel 2019 è stato caratterizzato da una grave perdita per i mieli primaverili, da un’importante flessione dei prezzi e da una difficile collocazione del prodotto sul mercato. “Il clima, con i suoi cambiamenti, rappresenta la grande variabile che può aggravare o migliorare la produzione di miele – afferma Giancarlo Naldi, presidente dell’Osservatorio nazionale miele – se tutta l’agricoltura è ostaggio degli effetti dei cambiamenti climatici, l’apicoltura lo è di più perché nei pochi giorni della fioritura si concentra l’attività delle api e fenomeni legati al vento e/o alle temperature fanno inesorabilmente la differenza”.
In Lombardia il tipo di miele maggiormente diffuso è quello che si ottiene dal tiglio, con una produzione media regionale in kg/alveare che nel 2019 è stata di 7,5 in pianura e di 16 in montagna; segue il castagno con 12,5kg/alveare, l’erba medica, il millefiori di alta montagna delle Alpi, il tarassaco, il millefiori estivo e primaverile, l’acacia. Quest’ultimo, nella provincia di Cremona e Lodi, lo scorso anno ha raggiunto 5-7kg/alveare con alcune punte massime di 10kg/alveare.
Intanto il ministero per le Politiche agricole ha stanziato 2 milioni di euro a tutela del miele italiano e del settore apistico. “Un contributo di cui c’era bisogno – sottolinea Naldi – che intende seguire tre filoni distinti. Il primo riguarda proprio l’individuazione di strategie che possano attenuare il peso del clima sulla produzione; il secondo guarda alla creazione di un sistema certo di gestione del rischio assicurativo al fine di creare una rete di fonti oggettive sul fenomeno meteorologico che può causare all’apicoltore un danno grave. Il terzo filone su cui ci concentreremo riguarda i prezzi, oggi ridicoli, a cui si vende il miele italiano. Basti ricordare che da settembre 2018 abbiamo registrato una contrazione del 30%, a cui si sommano le difficoltà di collocarlo sul mercato soprattutto a causa della presenza di player internazionali, provenienti soprattutto da Russia e Ucraina, che riescono a piazzare in Europa un prodotto che pretende di assomigliare al nostro senza averne le caratteristiche e che viene venduto a prezzi inferiori”.
Intanto i primi dati elaborati dall’Osservatorio sulla produzione di quest’anno parlano della primavera più secca degli ultimi 60 anni, con il 60% in meno di precipitazioni a livello nazionale e conseguente deficit idrico che in alcune zone d’Italia, soprattutto al nord, ha costretto gli apicoltori a continuare a intervenire con la nutrizione di supporto.