Cronaca

Piscina a Sport Management, 'inadempimenti rimediabili, occasionali e temporanei'

Il Consiglio di Stato ha ritenuto che i fatti contestati dal Comune a Sport Management, pur essendo passibili di sanzioni non “presentano profili di gravità tali da aver compromesso la prestazione di gestione della piscina” in quanto “prontamenti rimediabili, occasionali e temporanei”. E’ quanto si legge nella sentenza che ha accolto il ricorso della società contro la decisione del Comune di Cremona di revocare a SM la concessione per la gestione delle piscine comunali.

Secondo la sentenza, dunque, “l’entità, la consistenza e la gravità delle singole violazioni contrattuali” non sarebbero “tali da sorreggere il provvedimento di risoluzione” adottato dal Comune. Tuttavia il Consiglio di Stato sottolinea che gli inadempimenti “se ripetuti in futuro con analoga frequenza, potrebbero effettivamente condurre alla risoluzione del contratto”.

Gli inadempimenti di cui l’Amministrazione accusava la concessionaria in avvio del procedimento di revoca vertevano su lavori accessori, violazione delle disposizioni in materia di trattamento delle acque di piscina, inosservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie, interruzione di pubblico servizio e applicazione di tariffe superiori rispetto a quanto stabilito, oltre ad altri quattro addebiti rilevati tra il 26 ottobre 2018 e il 7 marzo 2019.

Il Consiglio di Stato si è quindi concentrato sulle “sedici contestazioni richiamate nella comunicazioni di avvio del procedimento”, ritenendo “inammissibile” la cosiddetta “integrazione postuma della motivazione del provvedimento impugnato”. Pertanto la motivazione di risoluzione della convenzione “non può essere integrata, né le lacune istruttorie del procedimento possono essere colmate, facendo ricorso a fatti preesistenti, addirittura noti all’amministrazione”.

I Giudici hanno rilevato che, nonostante il ritardo nella presentazione del progetto (marzo 2019) dei lavori accessori, questo era comunque giunto prima del preavviso di risoluzione da parte del comune (4 aprile 2019) e che non possa essere “causa di risoluzione”, anche perché “va escluso” che il ritardo abbia potuto “avere incidenza sulla gestione della piscina olimpionica” e quindi “sulla determinazione degli inadempimenti contestati”. Così come, nonostante il Comune “non abbia ottemperato in toto agli obblighi di manutenzione straordinaria”, non è stato accertato che ciò abbia “causato o concorso a causare” i fatti e gli inconvenienti contestati.

Nella sentenza è stato poi ritenuto “contrario a buona fede” il rifiuto di attivare un arbitraggio da parte del Comune, nonostante la richiesta di SM, dato che, per i Giudici, la divergenze tra le parti richiedessero “valutazioni esclusivamente tecniche che bene avrebbero potuto essere sottoposte al giudizio di un esperto indipendente”.

Il Consiglio di Stato, in ogni caso, pur riconoscendo “essere considerate gravi” le inadempienze “per portata ed effetti” e “giustificare la risoluzione del contratto”, sottolinea che la risoluzione stessa è consentita “solo al verificarsi” del fatto che queste siano state commesse tre o più volte nell’arco di un anno solare.

Riguardo alle contestazioni “concernenti la ritenuta inosservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie, l’assunto del concedente (il Comune, ndr) va smentito in radice” si legge ancora nel documento, e va “escluso che le inosservanze delle prescrizioni igienico sanitarie imputabili alla concessionaria (SM, ndr) e contestate a titolo di inadempimento abbiano raggiunto il numero” massimo consentito. Sul trattamento delle acque, invece, non è stato chiarito se “i rapporti di prova delle analisi di laboratorio” trasmessi da SM “siano stati confutati da indagini tecnicoscientifiche appositamente eseguite dall’amministrazione”.

I Giudici sottolineano infine che “l’esercizio del diritto potestativo di scioglimento unilaterale del contratto e prima ancora la condotta dell’amministrazione di diniego del ricorso all’arbitraggio, nonché di intensificazione dei controlli e di concentrazione delle contestazioni in un ristrettissimo arco temporale, appaiono non conformi al principio di buona fede e, correlativamente, espressione di abuso del diritto, nei rapporti inter privati, e di sproporzione dell’attività amministrativa, in relazione all’interesse pubblico sotteso alla concessione del servizio”.

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