Cultura

La vera storia di ‘Bella ciao’: canto popolare prima di essere partigiano

da Luca Chino Ferrari

Un’analisi risibile dal punto di vista storico, palesemente faziosa, che pecca di ignoranza grave quella pubblicata su questo portale dagli esponenti di Fratelli d’Italia a proposito di “Bella Ciao”.
Cantata dalle brigate partigiane (comuniste, repubblicane, socialiste, liberali, anarchiche) solo nella zona di Reggio Emilia, nell’Alto bolognese, nel Reatino e sui Monti Apuani dall’aprile-maggio del 1944, in realtà è basata su una melodia di canti tradizionali antecedenti e testo adattato da ballate popolari, secondo una prassi diffusa in ambito di tradizioni popolari. Prova ne è che uno storico serio come Cesare Bermani nel suo “Guerra Guerra ai palazzi e alle chiese…” (Odradek, 2003), nel ricostruirne l’affascinante storia, arriva a repertoriarne almeno otto versioni diverse.
Quanto all’affermazione del canto nel Dopoguerra, diventato simbolo della Resistenza, basti sapere che il brano venne cantato in contesti vari, non solo di Sinistra (ad esempio nei Festival internazionali della Gioventù o nei campi dei Pionieri), e si affermò da subito addirittura in paesi stranieri come la Germania, la Polonia e l’Inghilterra (tanto che proprio di recente i Vigili del Fuoco inglesi l’hanno registrata e postata sul Web per tributare i loro colleghi italiani)…

Che dire poi del successo ottenuto dal canto grazie alle versioni di Yves Montand, Gigliola Cinquetti e Anna Identici negli anni Sessanta? Come chiarisce brillantemente Bermani nel suo libro, “Bella Ciao” si affermò a furor di popolo soprattutto nell’epoca del ‘compromesso storico’ per rinsaldare l’idea di unità nazionale nata dalla Resistenza, anche perché “Fischia il vento”, sicuramente cantato nel nord Italia nei mesi antecedenti la Liberazione, “inneggiava alla conquista della ‘rossa primavera’ e perché era per di più sulla melodia di un canto russo, “‘Katiuscia’”. Giocarono inoltre trasformazioni del gusto musicale del periodo e il fatto che si potesse accompagnare il cantato col battito delle mani.
“Così una canzone scarsamente cantata durante la resistenza ma non connotata dal punto di vista politico e accennante solo all'”invasor”, quindi in grado di essere fatta propria da tutti i partigiani, divenne nel giro di pochi anni la canzone per antonomasia della Resistenza”. Un classico caso, dunque, di “invenzione della tradizione”, secondo l’efficace formulazione di Eric Hobsbawm (1987), che si è affermata tra la gente, nella società, anche grazie la diffusione dei media (radio, TV, dischi, concerti dal vivo…).

In seguito si sono affermate anche versioni in lingua cinese, cubana, venezuelana, ungherese e curda. Cantata da Claudio Villa nel 1975, a riprova della sua affermazione verrà addirittura intonata dall’esponente DC Zaccagnini al Congresso Nazionale del partito nel 1976. Nel 2002 sarà cantata in chiusura dei lavori del Social Forum Europeo anche dai delegati di più continenti e dopo innumerevoli versioni (rock, jazz, folk…), De Gregori e Giovanna Marini l’hanno definitivamente consacrata lo stesso anno includendola nel loro album “Sento il fischio del vapore”, che ha venduto più di centomila copie.
“Bella Ciao” divisiva, dunque?

Divisive sembrerebbero le menti di chi ignora la Storia e alimenta maliziosamente una contrapposizione che non ha più ragione d’essere dal momento che proprio a partire dalla storia di “Bella Ciao” la democrazia repubblicana, piaccia o no, è diventata patrimonio della maggioranza…

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