Morte di Luis Sepúlveda, il ricordo dell'Associazione Latinoamericana di Cremona
Luis Sepúlveda se n’è andato nella giornata di ieri, giovedì 16 aprile, all’età di 70 anni dopo aver contratto il coronavirus. Scrittore cileno, ma anche, tra le tante cose, esule politico, guerrigliero, ecologista, sceneggiatore e viaggiatore. Tra le sue opere si ricordano, tra le altre, ‘Il vecchio che leggeva romanzi d’amore’, ‘Diario di un killer sentimentale’ e ‘Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare’, ma anche i ‘diari’, di viaggio, di storie, di persone – come ‘Patagonia Express’ e ‘Ultime notizie dal Sud’. L’Associazione Latinoamericana di Cremona ha quindi voluto rendere omaggio a Sepúlveda , con un ricordo scritto sulla pagina Facebook dell’Associazione da Daniela Negri, laureata in lettere, volontaria e docente dei corsi di lingua e cultura italiane in ALAC.
“Sopravvivere ad una delle dittature più sanguinose del ‘900 – scrive Negri – e morire stroncato da un virus di cui ancora conosciamo così poco: se ne va così, in questo tempo sospeso, lo scrittore cileno Luis Sepúlveda. Con lui abbiamo imparato a capire che davvero “siamo fatti di atomi e di storie” (E.Galeano)”. La voltontaria e docente poi ricorda: “Ho conosciuto la forza narrativa della sua pagina “gustando” il suo primo romanzo di successo “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore” (1989): impegnata in un progetto di volontariato internazionale con l’etnia amazzonica degli Shuar, ritrovavo nel suo scritto lo stupore di fronte alla potente sabiduría ancestrale di quel popolo dell’Ecuador, prima tappa del suo esilio. “Noi non siamo diversi dagli Shuar- affermò poi in un’intervista-: abbiamo bisogno di storie per vivere”.
“Credo – prosegue nella nota dell’ALAC – che Sepúlveda abbia saputo coltivare la personale vocazione letteraria continuando a considerare lo scrittore un “granello di sabbia nell’ingranaggio del potere”e assegnando alla pagina scritta l’innegabile funzione sociale di un atto di resilienza: raccontare per registrare l’orrore e immaginare un cielo possibile, per dare spazio a ciò che sulla Terra “inferno non è” (I. Calvino), per contrastare l’usurpazione della memoria e custodire l’identità dei popoli, come scrisse di aver appreso dal prozio Mapuche evocato nella “Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà”(2016)”. Negri quindi conclude: “La sua scomparsa non accresce la nostra solitudine: possiamo continuare a dialogare con i personaggi dei suoi racconti, a coltivare con lui l’immaginazione e il sogno -che evasione non è-, nel linguaggio universale ed eterno dell’arte”.