La lettera del vescovo a don Alberto Franzini: 'Ora riposati'
La lettera che il vescovo Antonio Napolioni ha idealmente indirizzato a monsignor Alberto Franzini, parroco e canonico della Cattedrale di Cremona, deceduto nella notte tra venerdì 3 e sabato 4 aprile, pubblicata sul sito della Diocesi di Cremona.
Confesso: ho cominciato a scrivere queste righe appena ho saputo che non c’era più niente da fare per salvare la tua vita, caro don Alberto. Con grande dolore. Non l’ho fatto come un giornalista che prepara il “coccodrillo”, il pezzo per un prossimo morto da ricordare. L’ho fatto per parlarti ancora, mentre eri qui, per un ultimo dialogo tra amici. Per dirti quello che l’isolamento ci impedisce di dire ai nostri cari, in questa disumana maniera di morire.
Certo, un Vescovo non deve avere preferenze tra i suoi preti, ma tradirei la legge dell’incarnazione se ignorassi l’assiduità di rapporto che abbiamo avuto in questi quattro anni, come è ovvio tra un vescovo e il parroco della sua cattedrale, ma soprattutto come è stato facile nell’incontro tra la tua e la mia umanità, per certi versi assai simili. E’ la mia piccola tessera colorata, che depongo con delicatezza nel mosaico dei tantissimi e ben più antichi legami che hanno costellato la tua vicenda umana e sacerdotale.
Ricordo i giorni tra la mia nomina e la venuta a Cremona: guardavo il sito della diocesi, si citava il canonico e teologo Franzini e un po’ mi spaventavo, perché avrei avuto a che fare con pezzi grossi, preti molto preparati, ce l’avrei fatta? Dal nostro primo incontro mi hai aiutato, con la tua cordialità, divenuta ben preso familiarità, anche grazie al caffè che venivi liberamente a prendere nella cucina dell’episcopio, ogni settimana, come occasione di fugace ma sempre utile incontro, confronto, aggiornamento sulla vita della nostra Chiesa. Tu eri il mio parroco, e io ero il tuo vescovo, con reciproca soddisfazione per la lealtà del rapporto.
La nostra cattedrale è stato il teatro principale degli incontri e dei dialoghi, come splendida dimora del popolo di Dio, senza alcun problema di coesistenza tra due “padroni di casa”, entrambi innamorati della Chiesa di persone e di pietre, entrambi disponibili a nuovi progetti per servirne la vitalità, per esaltarne la bellezza.
Tu sei arrivato a questa ultima missione dopo una vita intensa, nello studio, nell’insegnamento e nella passione pastorale, che ti ha visto cercare il dibattito appassionato con tutti, specie negli anni di Casalmaggiore. La tua predicazione, curata e attesa, è stata fonte di luce per generazioni di credenti, e ce ne mancherà il pungolo. Nel presbiterio la tua presenza è sempre stata di stimolo, oltre che di cordiale partecipazione alla vita comunitaria, e te ne ringrazio tanto.
Poi, però, sono arrivati i giorni della pena, dapprima per l’infausta diagnosi arrivata “a ciel sereno” il 4 marzo: tumori avanzati al pancreas e ai polmoni. Il tempo appena di affrontare il primo smarrimento, di attivarci per alcuni approfondimenti e poi, il virus. Prima il mio ricovero e poi il tuo, scanditi da uno scambio di messaggi in cui abbiamo gareggiato da fratelli ad interessarci l’uno per le condizioni dell’altro. Ti ho immaginato nella mia stessa camera, in Pneumologia, assistito con passione dai sanitari che avevo imparato a conoscere e apprezzare. Uno degli ultimi tuoi messaggi assomigliava tanto a parole che dissi in duomo al mio ingresso: “L’è dura e lunga… grazie!”. Non ce l’hai fatta, per un drammatico concorso di fattori. Credo che così il tuo calvario sia stato più breve e meno doloroso di quello che si profilava comunque all’orizzonte. Ma soprattutto, so che ti sei orientato con pace alla volontà di Dio, consumandoti nell’amore per il Cristo e per la Chiesa.
Ora riposati… e gioisci, all’incontro con il Signore che in giovinezza hai scelto come “parte della tua eredità e tuo calice”. Sono sicuro che il parroco della tua infanzia, don Primo, ti viene incontro e ti accompagna alla scoperta della sterminata comunione dei Santi. Da lì, continua a tifare per la Chiesa cremonese, consola parenti e confratelli che ti piangono, dammi ancora una mano per essere degno di servire il popolo santo di Dio. E aspettaci, che comunque prima o poi arriviamo tutti e la festa sarà senza fine.
+ Antonio, vescovo