Infermiera in quarantena: 'Il rumore dell'ossigeno e le carezze che non puoi donare'
VICOMOSCANO – Lei è una di quelle che non può più dare una mano ai suoi colleghi, almeno per i giorni a venire. Ma che lo farebbe volentieri, se solo le condizioni glielo consentissero. Un’infermiera dell’ospedale Oglio Po, risultata positiva al Coronavirus dopo diversi giorni in corsia, ha deciso di scrivere al nostro giornale, dietro l’accordo dell’anonimato, per spiegare come si vive in trincea, in condizioni davvero emergenziali.
“Sono a casa, in quarantena, sul divano – ci racconta – e il mio pensiero e la mia stima vanno ai colleghi che sono rimasti in reparto, in trincea, saltando riposi e facendo turni massacranti di 12 ore. Negli ultimi 20 giorni ho vissuto come in un film, ma di quelli brutti che non finiscono mai. Dovete credere a quello che dico, perché non esagero e perché la fotografia reale della vita in ospedale in questi giorni è data anche dai numeri: zero letti disponibili, pochi dispositivi per la nostra protezione, troppi decessi, qualche pianto liberatorio, gli occhi stanchi di un medico che da solo deve visitare più di 60 pazienti, la solitudine degli anziani che ti chiedono di chiamare casa, di fargli sentire la voce della moglie o del figlio. E poi succede: capita di essere le ultime persone che tanti vedono. E a scandire le giornate non è una carezza, magari d’addio per molte di queste persone, ma solo il rumore costante dell’ossigeno che esce dal muro”.
Come si va avanti? “Sapendo di fare parte di una grande squadra. Io sono orgogliosa del mio gruppo, dei miei colleghi infermieri, ma anche dei preziosi Oss: si nominano sempre i medici e noi infermieri, ma l’Oss, nel mio reparto, è una figura insostituibile. Adesso, in questi giorni, non posso aiutare da casa, ma posso virtualmente abbracciare ogni singolo componente del mio reparto, i miei colleghi di quarantena come me e, soprattutto, chi è rimasto al lavoro. Siete grandi, siamo grandi. Lo eravamo anche quando venivamo presi di mira dai parenti, e sbeffeggiati. Finirà anche questo momento e sento che saremo un gruppo ancora più unito. Spero che la gente si ricorderà di quanto valiamo anche alla fine di quest’emergenza e che il grazie che ci hanno scritto davanti al parcheggio dell’ospedale non sia solo un modo per avere un attimo di visibilità sui giornali: di questo sono convinta. Chi di dovere, a tempo debito, dovrà ricordare che l’Oglio Po è vivo ed è insostituibile”.
La testimonianza dell’infermiera è un pugno nello stomaco, uno di quelli secchi, precisi, subito a segno, quasi chirurgici. Quello che serve, ogni tanto, per svegliarsi: pensarci su, quando si vuole uscire per futili motivi, dovrebbe essere un motivo più che sufficiente per desistere dall’intento.
G.G.