Cronaca

La lettera dell'Oss di Salerno: 'Non sono nessuno, ma vengo a Cremona per aiutare'

Con il personale sanitario dell’ospedale di Cremona ridotto allo stremo e costretto a sacrifici massacranti, ogni aiuto che arriva dall’esterno è fondamentale, anche dal punto di vista del morale. Nella città che dopo Codogno è stata l’avamposto del Coronavirus, arriva la testimonianza di un operatore socio sanitario di Salerno, Michele Pecorale, che in una lettera a SalernoToday.it. spiega come mai ha deciso di lasciare moglie, due figli e vita sociale per trasferirsi in un ospedale di trincea. Senso del dovere e di responsabilità, ma anche necessità di lavorare, quel lavoro che “la mia terra, in tre anni di vita da inoccupato, non mi ha saputo garantire”. Ecco la lettera:
“Non mi è mai piaciuta la ribalta, non sono uno da palcoscenico, quando c’è da ricevere elogi sono sempre nascosto nelle ultime file, ho sempre detto gli altri sono i protagonisti io ci ho messo poco del mio, sono una persona normalissima, con mille difetti e pochi pregi. In un periodo dove a giusta ragione tutti scappano dalla paura, io le vado incontro, si perché non mi vergogno a dirlo, fa parte delle fragilità dell’uomo: ho paura anche io. Vado a Cremona all’ospedale Maggiore, in piena emergenza coronavirus, dove l’epidemia la sta facendo da padrona, non so quanti al mio posto avrebbero accettato, ma mi “hanno chiamato” perché sono al collasso, hanno bisogno d’aiuto, stanno reclutando personale medico e di supporto. Sono un Oss (operatore socio-sanitario) non sono nessuno, non sono un medico, né un infermiere, loro sono i veri eroi. Ma vado perché devo, e voglio, per senso di responsabilità, per senso civico, per coscienza, per lavoro. Si per lavoro. Un lavoro che la mia terra, in tre anni di vita da inoccupato non mi ha saputo garantire. Lascio mia moglie, che avrebbe bisogno di me qui per motivi che non vado a specificare, i miei figli che in questo momento avrebbero necessità della mia presenza, lascio la mia famiglia, i ragazzi e la società della mia Longobarda la squadra che alleno, i parenti, le persone che amo. Vado ma ritornerò, porterò al Nord un po’ di noi, di voi, della mia Salerno e della mia salernitanità, ci vediamo spero presto, per i lombardi e per l’Italia intera. Nel frattempo non smettete di volermi bene adesso ho bisogno di voi, del vostro affetto. Grazie”.

E’ invece una testimonianza che viene direttamente dal fronte quella raccolta dal Giornale.it. L’infermiera caposala Carla Maestrini spiega l’incubo di vedere ogni giorno persone morire nei letti di rianimazione, dove i pazienti sono sottoposti a ventilazione, estremo rimedio che troppo spesso non si rivela sufficiente: “Abbiamo bisogno di togliere un tubo, di vedere un paziente che si risveglia. Finché non succederà non ritroveremo la consapevolezza di far qualcosa di utile”.

E’ il direttore sanitario Rosario Canino a dare un’idea dell’enormità della situazione che si sta affrontando a Cremona: un’escalation partita con il ricovero della prima ragazza positiva, il 21 di febbraio, e cresciuta in maniera esponenziale nei successivi tre giorni, quando a fronte di 12 posti letto standard nella terapia intensiva, si è reso necessario curare 40 persone con polmonite interstiziale da Covid 19. “Quel giorno capiamo di essere la prima linea, l’avamposto su cui si sta abbattendo la prima grande ondata di Covid. In 12 ore attrezziamo un reparto vuoto, dodici ore dopo ce lo ritroviamo tutto occupato. Svuotiamo due chirurgie, le trasformiamo in reparti Covid e l’onda non si placa. Oggi a parte reparti essenziali come ginecologia e oncologia non abbiamo più niente, solo pazienti Covid. In tutto più di 600 di cui 577 positivi e 30 intubati”.

Numeri ancora più alti di quelli forniti ieri dal direttore generale Giuseppe Rossi, che parlava di 550 ricoveri tra Cremona e Oglio Po.

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