Fanghi da depurazione da smaltire: ecco cosa finirebbe nell'inceneritore di S.Rocco
Sono in corso di svolgimento le operazioni di gara per aggiudicare il servizio di recupero e smaltimento fanghi da depurazione, bandita da Padania Acque Spa alla fine dello scorso anno, con il 20 gennaio come termine ultimo per la presentazione delle offerte. Una gara di livello europeo, suddivisa in più lotti a seconda delle tipologie di fanghi e che riporta d’attualità un tema venuto a galla qualche settimana fa, quando è emerso che Lgh/A2A ha intenzione di adeguare il termovalorizzatore di Cremona per poter bruciare i fanghi, considerando che questa tipologia di rifiuto è già autorizzata in base all’Aia vigente.
I tempi per l’aggiudicazione definitiva dell’appalto (quasi 3 milioni di euro, per una durata di 12 mesi) sono ancora lunghi: attualmente vengono smaltiti in agricoltura – una pratica sempre più difficoltosa anche per lo stop sui terreni lombardi imposto nel 2018 da una sentenza del Tar Lombardia, che ha posto nuovi limiti qualitativi – e nei termovalorizzatori del gruppo A2A di Milano, Brescia e provincia di Pavia. Ci sono poi motivi etico / ambientali alla base della scelta di Padania Acqua di limitare il più possibile gli spandimenti sui campi, pratica agronomica dalle tante zone d’ombra per gli illeciti venuti allo scoperto (caso CRE di qualche anno fa, ad esempio) e una storica difficoltà degli enti di sorveglianza nell’appurare che cosa veramente venga sparso sui terreni coltivabili.
“Il concetto fondamentale – ci spiega l’amministratore delegato di Padania Acque, Alessandro Lanfranchi – è che sui campi debbano finire solo i fanghi ‘buoni’, contenenti sostanze utili al terreno, come il fosforo o l’azoto, di cui peraltro il nostro territorio è già ricco per l’utilizzo su vasta scala dei reflui zootecnici. Attualmente circa la metà delle 15mila tonnellate all’anno di fanghi prodotti in provincia finiscono in agricoltura, dove la differenza la fa l’operatore. In altri termini: se la filiera è tracciabile tutto va bene, ma non sempre è così. Proprio per questo riteniamo importante tenere sotto il nostro controllo il più a lungo possibile la filiera, dai nostri depuratori, fino allo smaltimento finale. E’ chiaro che poterli destinare a un impianto presente in loco, come il termocombustore di San Rocco, è un vantaggio, fermo restando che la proprietà dovrebbe prima di tutto adeguare l’impianto e partecipare a una gara”.
Tra le sostanze utili ai terreni, quelle organiche; tra le dannose l’arsenico, presente in natura nel sottosuolo e che si accumula anche nei fanghi, ad esempio come effetto dell’utilizzo dell’acqua dei pozzi (non depurata) da parte di privati o anche di attività produttive, che viene poi immessa nel sistema fognario.
DENTRO L’IMPIANTO DI DEPURAZIONE – Le acque reflue in arrivo dalle fognature passano in prima battuta attraverso ‘setacci’ che isolano di tutto: stracci, spugne, pannolini e pannoloni, mozziconi, cotton fioc, oli ed altre sostanze grasse e poi ancora sabbie. Il peggio però è quello che non si vede, i cosiddetti ‘inquinanti emergenti’: medicinali – soprattutto antibiotici – droghe, microplastiche, Pfas. I reflui così trattati finiscono poi in una serie di vasche dove, attraverso la digestione batterica prima anaerobica, poi aerobica, avviene la separazione tra acqua e materia fangosa. La prima subisce un ulteriore trattamento di sanificazione attraverso raggi ultravioletti e finisce nel Morbasco; la seconda viene disidratata e assume l’aspetto di terriccio, in cui la componente acqua è ancora al 70%. E’ questo materiale, dove sono presenti sia sostanze organiche che metalli pesanti ed altro, che finisce sui campi o negli inceneritori di A2A.
“In questo momento – spiega Lanfranchi – ci sono tecnologie non mature per poter estrarre dai fanghi tutto ciò che è nocivo alla salute e all’ambiente e preservare solo le sostanze utili ai terreni. Ci stiamo lavorando, stiamo collaborando con università e abbiamo in corso un protocollo con l’Enea, finalizzato a ridurre la massa dei fanghi e a produrre fanghi biologicamente più stabili e di migliore qualità. Ma nel frattempo la pratica dell’incenerimento è necessaria e tanto più gli impianti sono vicini, tanto meno si impatta sull’ambiente in termini di trasporto. E ripeto: più noi restiamo titolari della filiera, meglio riusciamo a controllare le reali modalità di riutilizzo dei fanghi. Certo, li si può smaltire anche in discarica, cosa che noi non facciamo, e probabilmente spenderemmo anche meno: ci sono anche ditte che propongono di portarli all’estero. Ma preferiamo avere la certezza di uno smaltimento che non danneggia l’ambiente e che rientra in un discorso di economia circolare, come è il recupero di energia sotto forma di calore”.
Attualmente il termocombustore di Cremona non è adeguato per l’immissione di fanghi, ma potrebbe esserlo nel tardo autunno se, come appare molto probabile, Lgh effettuerà le modifiche impiantistiche necessarie, un adeguamento di alcuni milioni di euro che – ha assicurato la società – non prolungherebbe la vita dell’impianto. Secondo i tecnici del settore, l’apporto di fanghi, proprio per la consistente presenza di acqua, è utile anche per migliorare l’efficienza dell’impianto, che lavora ad altissime temperature. Se andrà in porto il conferimento nel vicino impianto di Lgh, distante poche centinaia di metri dal depuratore, sarà necessaria un’ulteriore attenzione alle emissioni in atmosfera, un aspetto da non sottovalutare ma su cui sia Lgh che Padania Acque mostrano sicurezza: le emissioni, controllabili pubblicamente online, sono per tutti i parametri nell’ordine di 10 volte inferiori ai limiti di legge. g.biagi