Cronaca

Il gruppo cremonese nelle frazioni di Amatrice. Il coraggio e la memoria che si perde

AMATRICE – Hanno cominciato a portare via le pietre, anche dalle frazioni. Quelle pietre rimaste lì, da dopo il terremoto, e non solo ancorate a terra o in bilico tra terra e cielo, ma ancorate ancor di più all’anima di chi è rimasto e non se ne è voluto andare via. Che poi non sai se essere felice che qualcosa – seppur lentamente – si muova o immensamente triste poiché quel che se ne va difficilmente torna. “Vedi qui – ci racconta G., un allevatore – già metà paese se lo sono portato via, e l’altra metà lo porteranno via a breve. Quando verrai qui tra dieci anni, troverai solo erba e rovi”.

Erba e rovi. Casali di sopra è una frazione in cui resiste una sola coppia, più un allevatore che ha la ‘casa’ qualche chilometro più giù e che sale la mattina presto per scendersene poi a sera. Parte del paese – rispetto a quattro mesi fa – non c’è già più. Al suo posto si apre una spianata. “Non ricostruiranno nulla, ma io resto. Questa è la mia terra”. Aveva chiesto la possibilità di riedificare a sue spese la propria casa, a piano unico. Non gliel’hanno data, nemmeno quella. Ha gli animali, e un branco di cani che li vegliano la notte. Qui è area di lupi. Non solo quelli che la natura ha dato ai boschi, ma anche quelli che, su due gambe, di notte girano alla ricerca di qualcosa da portarsi via. Un tempo il paese era raggiungibile da due vie: una era quella di Casali di Sotto e l’altra scendeva dalla montagna. “La seconda strada non esiste più. La si può fare solo con il trattore”. Il sisma l’ha resa impercorribile e nessuno l’ha sistemata.

Ci ha portato a Torrita G. E per parlare di quella casa in legno che gli hanno usa una similitudine molto forte: “Prova a prendere una vecchia foto di un campo di concentramento, colorala di giallo e guarda le case. Sembra Auschwitz. Abbiamo un’Auschwitz da questa parte della strada, e una dall’altra parte”. La casa è sotto il livello del terreno. I tombini per gli scoli sono più alti della base della casa, e più alti del terreno. Misteri dell’ingegneria, ma poi neppure più di tanto. “La terra se la sono portati via. L’ho segnalato anche al comune che l’acqua quando è a terra non se ne va verso l’alto. Non mi hanno ascoltato”. Qualche mese fa ha dovuto sollevare il pavimento. Sotto in alcuni punti era marcito tutto. “E l’acqua è ancora lì sotto, prima o poi dovrò sollevare il pavimento di nuovo”. Basterà una pioggia prolungata. Anche la pedana d’accesso al piccolo villaggio è tutta un programma: “E’ una rampa di lancio. Qui se uno ha una carrozzina da solo non può venire. E’ stato fatta così e non cambia nulla. Viviamo in un paese in cui tanta gente si è incattivita. In cui se vuoi qualcosa devi andare negli uffici e metterti ad urlare. In cui i politici si vedono giusto il tempo delle elezioni e poi non si vede più nessuno”. Terra di promesse quasi mai mantenute. Non diversa dal resto dell’Italia. Ma qui non è il resto dell’Italia. Fare una promessa a gente che non ha più quasi nulla, che ha perso casa ed affetti, che continua a restare è ancor peggio che non farne affatto. E’ farsi largo, a mani nude, tra le ferite ancora aperte della gente.

A Cornelle, altra frazione di Amatrice, c’è un allevatore. Ha le mucche nella stalla – quelle con la copertura in plasticone verde dove sotto l’aria è pesantissima e l’umidità non se ne va mai, rischiando di far ammalare anche gli animali – ed i vitelli. Segue una schiera di gatti. Erano quelli del paese che non esiste più. Si sono ritrovati lì, almeno quelli che resistono e la coppia non se l’è sentita di mandarli via. “Diamo loro da mangiare, ormai sono tutti qui”. Sono leoni anche loro, inerpicati su una catasta di balle di fieno. Hanno resistito a freddo, neve, lupi. La coppia se ne prende cura, grazie anche all’aiuto del WWF. Se ne dovrà andare, quella famiglia, da dove è adesso, ma qui quantomeno c’è una ragione. Il suo terreno è stato dichiarato a fortissimo rischio, il terreno poco sotto è franato e un’ulteriore scossa potrebbe portarsi via il resto. Non è che poi gli interessi più di tanto: si vive alla giornata, seguendo il ritmo delle stagioni. Si sposterà poco più sotto, quando il tempo e le forze glielo consentiranno. Tanto ad aiutarlo non ci sarà nessuno. “Quest’anno c’è stato troppo caldo, e ci sarà poco fieno ed erba da raccogliere per le mucche”. Appena fuori dalla sua proprietà c’è una villetta accartocciata su se stessa. Fuori ci sono ancora vecchi giochi di bambino, e un’altalena. Non la userà più nessuno. In quella casa il terremoto si è portato via una nonna e i suoi due nipoti “Ricordo quei momenti, la gente che scavava, e quando li hanno trovati. Siamo corsi subito a cercare di tirarli fuori, ma non c’era più niente da fare”. In un paese piccolo ci si conosce tutti. E tutti si ricorda, anche quando non ci sono più.

Anche G. una signora sorridente di Casali di Sotto, è ancora qui, e resiste. Nonostante tutto. Nel periodo della prima emergenza è stata punto di riferimento per polizia, esercito, finanzieri e protezione civile. Nel suo spazio non è mai mancato un piatto di pasta, una fetta di torta o un caffé per chi glielo ha chiesto in periodo di grandi movimenti. Ora la gente in giro è poca. Ma lei non se ne va. “Dove vado? La casetta non mi serve, ho la mia qui”. Quattro pareti che si è fatta su da sola, dopo aver passato i primi tempi del terremoto in roulotte, aver affrontato la chemio ed aver combattuto. Sembra una donna d’altri tempi, è una donna d’altro coraggio. Prepara torte e marmellate, cura le sue galline, il cane e i gatti. E non molla. Sorride sempre. Un attimo di sconforto quando pensa alla sua casa. Una bellissima casa colonica storica che era appartenuta ai suoceri. Era stata rinforzata con cerniere alla fine degli anni 90, proprio per evitare eventuali terremoti. “Ero al terzo piano quando c’è stata la seconda scossa forte. Se non fosse stata rinforzata ci sarei morta sotto”. La casa nonostante le cerniere ed i rinforzi ha  danni irrecuperabili e verrà abbattuta. Neppure questo ferma G. “La ricostruiranno”. E’ poco più di una speranza, un incitamento che fa a se stessa. Le hanno offerto la SAE, nel paese più sotto. Lei ha deciso che quando morirà lo farà in quell’angolo di montagna in cui ha vissuto e in cui vive adesso. Quelle lamiere e legna aggrappate su un costone di terra che a guardarlo fa un po’ paura. “E’ stata rinforzata, resisterà”. Sul tavolo della ‘sala’ torte, marmellate e liquori fatti da lei non mancano mai. Nel piccolo cortile tanti vasi “Sono i miei fiori”. Attendono la primavera, almeno loro, o solo loro.

A Capricchio vecchio c’è A. “Domani a mezzogiorno vi fermate da me, ho fatto i tonnarelli”. Il marito è allevatore da sempre, del paese restano poche case, la metà è già stata rasa al suolo e portata via. L’altra metà ha un vincolo delle belle arti. Giusto il tempo che capiscano come fare e poi rimuoveranno pure quella. Il paese è abbandonato e non so se è più spettrale adesso in cui si aprono ampi squarci dopo il lavoro delle ruspe o lo era più prima, con tutte le macerie. Anche per lei, il ricordo della casa è l’unico momento di forte impatto emotivo. Gli occhi si fanno lucidi. L’aveva appena ristrutturata quando il terremoto l’ha cacciata, insieme al marito, cento metri più in alto, su un pezzo di terra. Ma quella casa la vede, la sente, la porta dentro. E’ davvero straordinaria e gli ospiti sono rimasti sacri, come prima dell’anno zero. La bellezza di tanta gente di questa terra è questa: amano farti stare bene, hanno 10 e condividono 20, non chiudono mai le braccia. Piccole formiche con tanto coraggio, e tanta forza d’animo. La casa di A. è diventata centro di riferimento per il WWF e lei con tutti quelli che la vanno a trovare ha un rapporto speciale. Sulla credenza ha una foto di Francesca Cerati in bella vista. Gliela aveva data mamma Laura, in uno dei precedenti viaggi di Amici Centro Italia. Da allora sta lì. Anche lei, la dolcissima danzatrice casalasca Francesca, veglia su quella casa e su quella famiglia.

Sul lago di Scandarello, a Conche, G. ancora resiste. Da dopo il terremoto è rimasto tra i suoi cani ed i suoi gatti. Non li ha mai lasciati soli. “Non è cambiato niente” ci racconta. Conche è un luogo dolcissimo, un tempo appoggiato al lago artificiale e poi, dopo il terremoto, rimasto lì, con il lago una trentina di metri più sotto per ragioni idrauliche. La pressione sulla diga è stata alleggerita. Ci abbraccia tutti. Per lui il cibo per i cani e per i gatti è importante, più di quello che dà a se stesso. A guardarlo pochi direbbero che G. è stato un redattore del Mattino di Napoli. Avrebbe potuto fare tutt’altro, in qualunque altro luogo. E’ rimasto lì a combattere solo.

Sono solo alcune delle persone incontrate dal gruppo cremonese sceso per la quattordicesima volta in Centro Italia. Un gruppo composto da casalaschi (il sindaco di Martignana Alessandro Gozzi e la moglie Carla Montecchi, Patrizio Sartori, l’iron man di Martignana Andrea Devicenzi, il presidente di AFM Casalmaggiore Marco Ponticelli, il brigadiere capo dei Carabinieri Claudio Bonaldo, la trentina Magda Calmasini, presidente di Share Onlus, Nazzareno Condina e Bruna Baistrocchi) e da cremonesi (Federico Corrà, vicepresidente di confcommercio Cremona con la moglie Cosetta Cerri, Gerardo Paloschi e Emanuela Rizzi). Una quarantina di quintali di materiale consegnato, per la gran parte cibo per animali da allevamento e da compagnia, una piccolissima goccia nell’oceano dei bisogni di una terra che resterà così per tanti anni ancora e in cui a poco a poco si sta cancellando pure la memoria dei piccoli borghi. “Quando tornerai qui tra dieci anni troverai solo erba e rovi”. E piccole chiese, come quella di Casali della fine del ‘700, impuntellate. E distese di case di legno, baracche tutte uguali e messe in fila. Senza più bambini, senza più futuro. Con un presente fatto di sassi che ancora restano ed altri perduti per sempre, di anziani che lottano con ostinata determinazione contro i giganti e le paure, contro burocrazia e lentezza. Lottano su quella che è la loro terra e moriranno lì, senza cedere. Anime belle in un cratere infinito di infinita tristezza e struggente bellezza, nonostante tutto.

Il prossimo giro del gruppo cremonese sarà tra giugno e luglio. A mantenere una promessa fatta sin dal primo viaggio e a prendere tutto quello che quella terra ha ancora da donare. Perché poi, in fondo, si torna sempre a casa con molto di più di quello che si porta. Una infinita lezione di coraggio, di affetto, di ostinazione, di lotta, di fatica. Una lezione di vita dal valore inestimabile.

N.C.

© Riproduzione riservata
Caricamento prossimi articoli in corso...