Cronaca

Dalla Shoah all’aborto

Le osservazioni, che in questi giorni, in riferimento alla Giornata della Memoria, sono state oggetto di riflessione da parte di Monsignor Alberto Franzini, meritano di non cadere nell’oblio. “Passato lo giorno, gabbato lo santo”: non è solo un modo di dire, ma è un costume che è in uso. La notizia è come fiammella: illumina il buio, ma è destinata a spegnersi in breve tempo. Per l’importanza dell’argomento, quanto detto dal Parroco della Cattedrale non va rimosso. L’articolo, pubblicato il 27 febbraio, si sviluppa su due piani: storia e attenzione alla vita.

Il richiamo a tutte le forme di violenza, attuate nel secolo scorso, ci stimola a renderci consapevoli come tutte le ideologie abbiano avuto un comune esito: l’eliminazione di chi non corrispondeva ai dettami imposti dalla “visione del mondo” dominante. Con puntualità vengono ricordate da Don Alberto le pagine più aberranti della storia. Non si tratta di un mero elenco. Diversamente da chi pone dei “distinguo”, facendo riferimento ai differenti “scopi” delle molteplici concezioni politico-ideologiche, viene osservato come l’esito sia stato lo stesso. Come non ricordare che tutte le guerre o le nefandezze nella storia hanno avuto argomentate giustificazioni?!. Purtroppo sono i fini a giustificare i mezzi.

Quanto s’impone è la necessità di mantenere vive tutte le tracce della storia, di evitare di fare indebite preferenze per taluni ricordi a scapito di altri, di aver bene presente che la memoria è condizione di consapevolezza di come l’uomo tradisce la sua umanità. Le condizioni nel tempo mutano. Ciò che non sembra mutare è la volontà dell’uomo di prevalere sull’altro uomo con ogni mezzo. Ha fatto bene Monsignor Alberto Franzini a richiamare gli accadimenti, che al pari della Shoah, hanno segnato pesantemente il secolo scorso. La complessità dei fatti serve proprio per ricordare che è dell’uomo la volontà di prevalere sugli altri uomini. Il modo d’argomentare di Don Alberto non è entro l’orizzonte di un’ideologia, tanto meno lo è entro quello della fede, anche se è questa a sollecitarlo a testimoniare per essere custode della verità dei fatti. Non si dimentichi che affrontare la storia solo in modo parziale, tacendo episodi assimilabili alla Shoah, è una forma di negazionismo. Anzi è la forma peggiore: il silenzio nutre l’ignoranza che origina la falsità.

Sin qui la storia come testimonianza affidata alla memoria. Quando però la memoria testimonia non solo accadimenti, ma consente d’affrontare il fondamento stesso dell’inviolabilità della vita, allora è doveroso far riferimento a tutte le forme di olocausto. Il fondamento va ricercato nell’esistenza. L’uomo è capace di degradarla, di violarla, di annientarla, non è in grado di crearla. Si invochino pure le scienze, queste, segno indiscusso dell’intelligenza umana, rimangono impotenti di fronte al tema radicale dell’esistenza. Non c’è nessun scienziato che passi dal proprio pensiero al “fiat”. L’uomo, per realizzare una qualsiasi entità, deve servirsi di una materia che originariamente esiste indipendentemente da lui.

Il dilagante scientismo deve fare i conti con il proprio limite strutturale: la scienza è subordinata alla vita. Poco giova far riferimento alla qualità della “vita” o ad una presunta dignità da individuarsi nelle condizioni esistenziali (la malattia e le anomalie genetiche sono troppo spesso considerate condizioni non dignitose!). La qualità aderisce alla vita stessa, ma è individuabile solo se “c’è” la vita. Le qualità sono attributi dell’esistente, non esistono autonomamente. La scienza non è padrona della vita; è fonte di conoscenze le cui finalità vanno subordinate all’esistenza dell’uomo. Non si tratta di aderire a una o ad un’altra fede, ma si tratta di farsi carico di quel valore non negoziabile che è la vita di ogni persona.

Anna Maramotti Politi

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