Cultura

Con 'Madre Courage e i suoi figli' Maria Paiato in scena al Ponchielli il 9 e 10 gennaio

Uno spettacolo visionario, in cui i celebri songs di Brecht e la musica di Paul Dessau sono trasformati in una travolgente sequenza di brani dallo stile eclettico – dal suono classico contemporaneo all’elettronica – con l’intento di non tradire la forza dirompente che quelle musiche ebbero in epoca espressionista. Al centro di tutta l’azione, l’attrice Maria Paiato è Madre Courage e i suoi figli, al teatro Ponchielli il 9 e 10 gennaio (ore 20.30), che affiancata da 10 attori, in un presente al di là del tempo e dello spazio, attraversa la Storia, oscillando ogni volta tra guerra e pace.

La scelta di mettere in scena Madre Courage nasce dall’intenzione di impiegare le migliori energie creative nell’allestimento di un titolo brechtiano, che, pur offrendo un argomento di eterna attualità quale quello della vita e della morte ai tempi della guerra, prevedesse forti componenti musicali, e consentisse una potente risonanza scenica nella contemporaneità. Ma il progetto di portare in scena Madre Courage ha trovato da subito un solido sostegno in una serie di singolari coincidenze, alcune riguardanti anche il vissuto personale del sottoscritto, come quella di aver partecipato in veste di giovane attore alla versione storica di Antonio Calenda interpretata da Piera Degli Esposti nel 1991.

Madre Courage e i suoi figli è davvero è uno dei più grandi classici teatrali del secolo scorso. È la prima della corona di opere di Brecht che include L’anima buona del Sezuan, Il cerchio di gesso del Caucaso e Vita di Galileo. In Italia non sono state tante le edizioni che si ricordano. Dopo il debutto assoluto nel 1952 con la messinscena di Luciano Lucignani con Cesarina Gheraldi e Sergio Tofano, si fa presto a elencarle tutte: da quella storica dello Stabile di Genova di Luigi Squarzina con Lina Volonghi, passando quindi per la versione Calenda / Degli Esposti del 1991, per arrivare alle tre recenti edizioni di Marco Sciaccaluga / Mariangela Melato del 2003, sempre per lo Stabile di Genova, Robert Carsen / Maddalena Crippa del 2005 per il Piccolo Teatro, e Cristina Pezzoli / Isa Danieli del 2008, prodotto dalla Compagnia Gli Ipocriti di Melina Balsamo. Cinque edizioni: solo cinque edizioni italiane di un’opera dal respiro profondo e ormai storicizzato del classico, la cui forza risiede nella capacità di colpirci così fortemente con una densità raramente tanto alta di conflitti e paradossi.

Brecht scrisse il testo quando era già in esilio nel 1938 alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Ma l’opera ha assunto il suo vero significato forse solo dopo la guerra, sottolineando implicitamente che l’umanità non riuscirà mai a imparare dai propri errori. Opera di contraddizioni e antinomie, a partire dalla principale, secondo cui Madre Courage si sforza di proteggere i suoi figli dalla guerra, ma li perde inesorabilmente uno dopo l’altro. In che modo è responsabile di ciò? Anna Fierling si chiama Courage: ma è davvero una donna coraggiosa o, piuttosto, una codarda? Le risposte possibili in questo testo riguardano chi ha e chi non ha, chi prende le decisioni e chi deve eseguirle.

In Brecht c’è un senso profetico: è innegabile che l’azione di Madre Courage — il suo andirivieni sul corpo di una Europa schiacciata, gli assassinii, i saccheggi, gli incendi — abbia prefigurato quando stava realmente per accadere. E così, Brecht, nutrito anche dai ricordi della Grande Guerra del secolo XX, compone un’opera definitiva sulle guerre di tutti i tempi. In una nota del ’49, alla vigilia della storica messinscena di Berlino, Brecht precisa i punti essenziali che una rappresentazione di Madre Courage deve mettere in luce: “Che in una guerra non sono i piccoli che fanno i grossi affari. Che la guerra — che non è altro che un tipo di commercio ma con altri mezzi — trasforma tutte le virtù umane in una forza di morte anche in chi le possiede. Che nessun sacrificio è troppo grande per combatterla comunque”.
In quella stessa occasione aggiunse: “Se Madre Courage non ricava nessun insegnamento da ciò che le succede, penso che il pubblico, invece, può imparare qualcosa osservandola”. La dichiarazione di Brecht è ancora attuale. Lo stato di guerra è uno dei pilastri su cui il Potere, dalla notte dei tempi, fonda la sua stessa ragion d’essere. E al mantenimento di questa eterna macchina da guerra partecipiamo tutti, volenti o nolenti.

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