Legambiente: 'Legge di rigenerazione urbana è miope e non sarà di aiuto'
Con riferimento all’invito lanciato dall’Assessore Andrea Virgilio ad aprire un dibattito sulla recente Legge Regionale sulla rigenerazione urbana come associazione che si occupa di ambiente e territorio, intendiamo dare il nostro contributo.
La recentissima legge lombarda sulla rigenerazione urbana è una legge miope che non farà molto bene alle aree urbane e extraurbane, ma non aiuterà nemmeno il settore edilizio – inteso come filiera che realizza le funzioni private – e nemmeno le infrastrutture e i servizi pubblici. Si strizza l’occhio a costruttori e intermediari immobiliari ma senza affrontare alcuno dei temi oggi sul tavolo della pianificazione territoriale, come ad esempio le aree dismesse o le aree degradate ed inquinate e le relative bonifiche, su cui non si fa nulla, svuota di senso i PGT, trasforma i Comuni in Ancelle per accompagnare i progetti privati alla meta.
Dietro questa legge non c’è alcun progetto di sviluppo territoriale che non preveda altro consumo di suolo. Eppure, approfittando strutturalmente di un rallentamento della cementificazione lombarda, non certo per virtuosismo ma congiunturale, una delle più vistose d’Europa, si poteva arrivare ad una vera legge sulla rigenerazione urbana che prevedesse risorse per i Comuni più meritevoli in fatto di consumo di suolo. Le aree dismesse che spesso sono anche una minaccia alla salute resteranno come sono cioè abbandonate a se stesse salvo che non ci siano interessi economici formidabili. Aree dismesse da decenni in contesti urbani non necessariamente degradati e che finalmente potrebbero entrare in piani di rigenerazione resteranno al palo in quanto verranno privilegiate aree dove sarà molto più semplice e conveniente costruire qualsiasi cosa venga in mente. Le operazioni di risanamento saranno poi a spese della collettività, in quanto la legge prevede drastiche riduzioni degli oneri di urbanizzazione. In sostanza questa legge, strizzando l’occhio alla finanza e ai costruttori, taglia i fondi che i Comuni avrebbero a disposizione per fare le opere pubbliche cioè le opere che servono al miglioramento qualitativo dello spazio urbano in termine di servizi e infrastrutture. Vale la pena di ricordare che gli oneri di urbanizzazione servono appunto a realizzare infrastrutture e servizi pubblici.
Ma c’è anche di peggio almeno per quanto riguarda un territorio come il nostro ancora fortemente dedicato alle attività primarie come la produzione agricola. In un momento in cui il consumo di suolo era tendenzialmente in diminuzione con il rallentamento del fenomeno dello sprawl, cioè farsi la villetta in giro per le campagne, cosa si inventa? Una norma che non ha nulla a che vedere con la rigenerazione urbana, ma che è solo un regalo alla rendita fondiaria e non certo ai produttori agricoli. Non è una norma che farà bene all’agricoltura anzi, il rischio è che in previsione di futuri benefici, le cascine verranno ulteriormente svuotate dai residui di attività agricola certamente inopportuni se si deve creare un villaggio residenziale o un beauty farm.
Nelle cascine dismesse si potrà fare di tutto, ma veramente di tutto. Chi possiede un rudere in mezzo alla campagna potrà rivendicarne la trasformazione per qualsiasi cosa indipendentemente se esiste la richiesta o meno: una specie di Legge Tremonti post industriale. Poi ci sarà la dichiarazione di Interesse Pubblico da parte del Comune interessato che prevarrà su ogni norma urbanistica e su ogni programmazione territoriale compresi PTCP e Parchi: altro che Governo del territorio.
Con questa norma infausta il paesaggio già molto provato dall’agricoltura intensiva subirà ulteriore sfregio in quanto le cascine tradizionali, opere edilizie che portano con se un inestimabile patrimonio di cultura e tradizione, verranno stravolte grazie ai bonus costruttivi trasformate magari in piccoli “Fidenza Village” in stile Assiro Babilonese.
Ciò detto in termini generali, è doverosa una considerazione di fondo sulla tradizionale opera di recupero del patrimonio rurale che il Comune di Cremona ha avviato da decenni in particolare con il PRG Costantino-Puddu degli anni ’80 e proseguito con le successive varianti. Per la prima volta le cascine nel loro contesto territoriale sono state considerate come un patrimonio storico, architettonico e ambientale. Nei piani di edilizia sociale degli anni ’80 le cascine sono diventate il fulcro delle destinazioni pubbliche, Cambonino in primis. Con le varianti successive, in particolare la Variante a firma dell’arch. Tintori, le cascine sono state analizzate una ad una con l’indicazione precisa dei tipi di intervento ammissibili. Questi interventi quasi mai prevedevano la demolizione se non per singoli edifici ritenuti particolarmente fatiscenti e tipologicamente non recuperabili. Inoltre le destinazioni consentite erano sempre in linea con il contesto in cui andavano ad insediarsi. Attualmente la normativa sembra molto più lasca e sembra concedere maggiori libertà d’intervento ma crediamo sia sempre improntata a una giusto e spesso inevitabile compromesso tra situazione esistente e possibilità recupero. Per questo motivo riteniamo che le politiche di recupero di questo fondamentale patrimonio vadano mantenute, evitando facili anche se legittimi entusiasmi per una Legge che ha il solo merito, per ora, di strizzare l’occhio ai costruttori e ai proprietari dei fondi agricoli e che, se applicata, porterà ad un territorio e a un paesaggio ulteriormente compromessi e banalizzati e i Comuni a doversi far carico delle opere di infrastruttura.
Giovanna Perrotta – Direttivo Circolo Vedo Verde