Inquinamento Tamoil: 'Volontà persistente di ritardare gli interventi di messa in sicurezza'
“I responsabili della Tamoil, mostrando con l’autodenuncia del 2001 di aver scoperto la perdita degli idrocarburi dall’area della raffineria, erano giocoforza consapevoli della circostanza che tale perdita continuava a prodursi e non potesse ritenersi ‘stabilizzata’, posto che l’attività della raffineria non era stata sospesa e che le cause della perdita non erano state rimosse”. Lo scrivono i giudici della Corte Suprema nella motivazione della sentenza definitiva emessa il 26 settembre dell’anno scorso, quando la Cassazione aveva rigettato il ricorso dell’imputato Enrico Gilberti e anche quello della procura generale che chiedeva il reato più grave di inquinamento delle acque. A conferma della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Brescia, la Cassazione aveva emesso una sola condanna a tre anni di reclusione per disastro ambientale colposo aggravato per il manager Gilberti e assoluzione per tutti gli altri imputati: Giuliano Guerrino Billi, Mohamed Saleh Abulahia, Pierluigi Colombo e Ness Yammine (l’unico, quest’ultimo, ad essere stato assolto anche in primo grado).
Nelle 61 pagine di motivazione, i giudici sostengono che “nel momento stesso in cui Tamoil autodenunciava l’inquinamento, ammetteva di esserne ‘responsabile’, atteso che ‘le possibili fonti di rilascio di inquinanti organici industriali’ indicate dalla società nel piano di caratterizzazione presentato a fine aprile del 2001, erano tutte significativamente connesse a quello stabilimento e alla sua raffineria. L’obbligo di attivarsi con interventi di messa in sicurezza gravava sicuramente su Tamoil”.
Dunque anche la Cassazione ha confermato l’inquinamento, e cioè che Tamoil ha inquinato la falda e i terreni sottostanti la raffineria, le canottieri Bissolati e Flora e il Dopolavoro ferroviario, ma il reato consumato è quello di disastro colposo. Nella sentenza di primo grado, invece, il giudice Guido Salvini, il 18 luglio del 2014, aveva condannato Enrico Gilberti e Giuliano Guerrino Billi rispettivamente a sei e a tre anni per disastro doloso, mentre Mohamed Saleh Abulaiha e Pierluigi Colombo ad un anno ed otto mesi ciascuno per il reato di disastro colposo.
Per quanto riguarda la responsabilità di Gilberti, i giudici della Cassazione, in accordo con i colleghi di Brescia, hanno messo in risalto “come alle cariche formalmente rivestite si sia accompagnata una coerente condotta fattuale, tradottasi in un’assidua e costante presenza di Gilberti in tutte le significative fasi in cui si sviluppò il contraddittorio con gli Enti” e come la sua condotta fosse “connotata da una persistente volontà di differire nel tempo e ritardare per anni sia le iniziative volte a videoispezionare la rete fognaria, sia a verificare le possibili ulteriori compromissioni delle matrici ambientali, sia a monitorare le potenziali migrazioni degli inquinanti verso le aree esterne, sia ad adottare la messa in sicurezza d’emergenza, di fatto decisa ben sei anni dopo l’autodenuncia del 2001. Condotta che denota come Gilberti abbia avuto l’esatta comprensione dei fatti, nonchè la previsione e l’accettazione delle relative conseguenze dannose o pericolose, se si considera che la società ritardò le video ispezioni del sistema fognario per ben tre anni, da quando la stessa Tamoil, nel piano di caratterizzazione del 2001, ebbe ad ammettere che detto sistema avrebbe potuto costituire fonte di inquinamento e nonostante gli Enti avessero sollecitato la verifica sia nel maggio 2002 che nel giugno 2003”.
“Quanto alla piena accettazione del rischio della migrazione di contaminazioni, in termini di ‘disastro’ verso le aree occupate dalle società canottieri e alla volontà, ciò nonostante, di persistere nella scelta di preferire il risparmio delle spese di bonifica a costo di determinare tale disastro”, i giudici sottolineano che “soltanto nell’agosto del 2005 Tamoil iniziò la verifica delle potenziali migrazioni all’esterno del sito dopo che erano trascorsi oltre quattro anni dall’autodenuncia e più di tre anni dal primo sollecito degli Enti (maggio 2002), e, dall’altro, l’attesa di oltre un anno dall’avvenuta constatazione della contaminazione dell’area esterna (gennaio 2006) perchè Tamoil procedesse ad adottare la messa in sicurezza d’emergenza (marzo 2007). Che detto comportamento fosse correlato ad un elevato livello di rappresentazione dell’evento lo spiegavano non solo la durata e la reiterazione delle condotte omissive, ma pure lo specifico bagaglio professionale e di esperienza accreditato all’imputato, ingegnere, ben consapevole del prevedibile evento disastroso che sarebbe potuto derivare da tali condotte”.
Confermati anche in Cassazione, per le parti civili, i risarcimenti decisi in primo grado, compreso il milione di euro a titolo di provvisionale per il Comune. Se in primo grado l’amministrazione era rappresentata dal cittadino Gino Ruggeri, anche questa volta, come in appello, era stata la stessa amministrazione, attraverso l’avvocato Alessio Romanelli, a chiedere i danni. I colleghi Gian Pietro Gennari e Claudio Tampelli assistevano la canottieri Bissolati, l’avvocato Vito Castelli la Flora, i legali Annalisa Beretta e Marcello Lattari il Dopolavoro ferroviario e l’avvocato Sergio Cannavò Legambiente.
“Legittima”, secondo i giudici, “la risarcibilità dei costi amministrativi supportati dall’Ente locale per le numerose incombenze connesse al procedimento amministrativo e all’attività organizzativa che lo stesso Ente ha dovuto compiere, rimarcando il carattere straordinario e imprevedibile dello sforzo economico sostenuto a fronte di una emergenza coinvolgente il territorio”. I giudici citano nella motivazione la chiusura delle piscine delle Canottieri “per un apprezzabile periodo di tempo – quasi un mese nell’estate del 2007” e il “danno alla vita di relazione subito dai singoli soci per l’impossibilità, seppur temporanea, di praticare attività sportiva” e il “danno alla salute o danno esistenziale dovuto al peggioramento della qualità della vita dei singoli soci conseguentemente allo stress e al turbamento per il rischio del verificarsi di gravi malattie per essere stati esposti a lungo a sostanze nocive, tossiche o cancerogene”.
I commenti dei legali di parte civile:
“Abbiamo letto con molta attenzione le motivazioni della sentenza del Supremo Collegio”, hanno detto gli avvocati Gian Pietro Gennari e Claudio Tampelli, “che in maniera puntuale, anche se in alcune parti sintetica, ha confermato l’impostazione in punto di diritto delle precedenti due decisioni alle quali, in alcuni passi della motivazione, rimanda. Constatiamo che anche nella sentenza della Corte le argomentazioni svolte dai difensori delle partici civile, affidate alla memoria redatta per questo grado di giudizio, hanno trovato accoglimento. Per quanto riguarda, in particolare, le posizioni dei soci delle Canottieri Bissolati e Flora, il Supremo Collegio ha confermato il loro diritto ad essere risarciti per il danno subito. In punto al risarcimento del danno, questa sentenza costituisce un punto fermo per quanto riguarda la tutela dei diritti delle persone che frequentano un sito interessato dall’inquinamento ambientale (in particolare del diritto alla salute Art. 32 Cost.). Le motivazioni di questa sentenza faranno sicuramente scuola e potranno essere utilizzate anche in altri processi d’inquinamento delle matrici ambientali”.
“Non posso che esprimere piena soddisfazione per le motivazioni esposte nella Sentenza della Cassazione”, ha commentato a sua volta l’avvocato Annalisa Beretta, “che non solo conferma l’entità delle provvisionali sul risarcimento del danno, ma soprattutto conferma l’impianto difensivo e le tesi esposte dalle parti civili tutte. Per quanto riguarda la posizione dell’Associazione Dopolavoro Ferroviario è confermata la piena legittimità delle richieste avanzate, che erano però già difficilmente contestabili, nel mentre, la completezza della motivazione sulle ragioni di timore e possibile danno fornisce e chiarisce elementi concreti per la futura tutela della posizione dei singoli soci”.
“Le motivazioni della sentenza della Suprema Corte di Cassazione, di grande rigore giuridico”, ha detto l’avvocato Alessio Romanelli, “affrontano tutti i temi prospettati dalle difese e fanno definitiva chiarezza su ogni aspetto oggetto di indagine nel processo Tamoil. La decisione appare di estremo interesse anche ai fini delle future azioni risarcitorie, dal momento che traccia in modo assai chiaro i confini dei danni subiti dalle parte civili, in particolare dal Comune di Cremona”.
Piena soddisfazione anche per l’avvocato Sergio Cannavò, del Centro di Azione Giuridica di Legambiente Lombardia: “Con la consapevolezza e un briciolo di orgoglio che i tanti sforzi messi in campo dall’Associazione e dal suo circolo cremonese, ma anche da tutte le altre parti civili e dai loro difensori, dai consulenti, dai Radicali di Cremona, da Gino Ruggeri, dal Comune e dalle altre istituzioni hanno contribuito al raggiungimento di questo importante risultato per la cittadinanza di Cremona e per tutti coloro che hanno a cuore l’ambiente. E’ un esito molto positivo, che nel sancire le precise e gravi responsabilità per la contaminazione da idrocarburi all’interno e all’esterno della Tamoil, pone le basi per il pieno risarcimento dei danni ambientali e sociali causati, nonché per il ripristino ambientale dell’intera area”.
Infine l’avvocato Vito Castelli: “Completa soddisfazione per quanto rilevato dalla Suprema Corte in sentenza, laddove, in relazione alla ricostruzione del pericolo di contaminazione da benzene ed idrocarburi rinvenuti in falda, ritiene scevra da vizi logici e particolarmente accurata sia la sentenza del giudice di primo grado che di quello di Appello, che a loro volta hanno ritenuto condivisibile la tesi prospettata dalla parte civile”.
Sara Pizzorni