Cronaca

Doloso l'incendio al macello A processo ex proprietaria del lotto. Intercettazione 'fatale'

L’avvocato Bertoletti

Verso le 21 del 14 agosto del 2016 il macello suinicolo Icam di Solarolo Rainerio, posto in fregio alla provinciale Giuseppina, era stato distrutto da un incendio. Le fiamme avevano avvolto il tetto dell’azienda, crollato in seguito al rogo, e gli ambienti interni dove erano accatastati circa 200 quintali di carcasse di animali. Due giorni dopo il sindaco aveva emesso un’ordinanza di sgombero e inagibilità dell’edificio, rimasto completamente danneggiato. Lo stabile era stato posto sotto sequestro in quanto l’incendio, secondo i rilievi effettuati dai vigili del fuoco di Cremona, aveva origine dolosa. Al termine delle indagini era emersa l’identità dei presunti responsabili, che ora devono affrontare il processo. Si tratta di Adele Anghinoni, 90 anni, e di Jalil Samir, 53 anni, suo ‘uomo di fiducia’. All’epoca la Anghinoni era la proprietaria del lotto dove sorgeva il macello. Nel 2005 la donna, che macellava anatre, lo aveva affittato a Giuseppe Bosco che a sua volta ne aveva fatto un macello suinicolo. Qualche giorno prima dell’incendio, il lotto era stato messo all’asta e Bosco era in trattativa con la banca per acquistarlo. Un’idea che non era affatto piaciuta alla Anghinoni, che tra l’altro aveva degli screzi con Bosco perchè da qualche mese non le pagava l’affitto. Per la procura, l’anziana sarebbe la mandante dell’incendio, mentre Samir, il tuttofare che con lei aveva lavorato al macello delle anatre, colui che di fatto aveva appiccato il fuoco. “Un’indagine a senso unico”, sostiene il difensore dei due imputati, l’avvocato Giovanni Bertoletti, secondo cui le indagini avrebbero dovuto prendere in considerazione anche altre persone. In aula lo stesso legale ha ricordato che qualche giorno prima dell’incendio Giuseppe Bosco aveva sottoscritto una polizza anti incendio. “Per qualche motivo?”.

Nel processo, un ruolo fondamentale lo giocheranno le intercettazioni telefoniche ed ambientali di cui, come spiegato dal luogotenente carica speciale Nicola Caroppi, si sono occupati i carabinieri del Nucleo investigativo, subentrati nel corso dell’indagine per sviluppare il traffico telefonico e i dati acquisiti dai colleghi che all’inizio si erano occupati del caso. Il 12 aprile del 2018, la Anghinoni, Samir e un’altra persona dell’entourage della Anghinoni erano stati convocati in caserma a Cremona per la notifica di un provvedimento da parte dell’autorità giudiziaria. Tutti risultavano indagati (nei confronti della terza persona le accuse sono poi cadute). Quando i due imputati erano rimasti soli nella sala d’attesa erano stati ripresi da una telecamera ed erano sotto controllo audio. Dalle intercettazioni, come ha spiegato il maresciallo Francesco Cardiglia, la Anghinoni raccomanda a Jalil di dire ai carabinieri di non ricordarsi nulla, facendogli anche segno di parlare sottovoce. In un’altra intercettazione ambientale, invece, la donna, appena uscita dalla caserma, è in auto con un amico che l’aveva accompagnata al quale rivolge una frase in stretto dialetto casalasco che i carabinieri hanno tradotto così: “Quello lì – riferendosi all’uomo del suo entourage che era stato convocato con lei e Jalil – “non sapeva neanche che io avevo incendiato il capannone”. Una frase, quest’ultima, che per l’accusa inchioderebbe l’anziana proprietaria del terreno alle sue responsabilità. Non così, invece, per l’avvocato difensore Bertoletti, secondo il quale la traduzione è tutta da verificare.

I video e gli audio delle intercettazioni saranno ascoltati in aula nell’udienza del prossimo 14 febbraio.

Sara Pizzorni 

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