Furti corpi di reato, l'imputato: 'Mi sono fidato'. Il teste: 'Era il capo, ma si limitava a firmare'
“Quando ero presente, scendevo a controllare nel caveau insieme a Manfredi. Non ho mai visto anomalie, non mi sono mai accorto di niente”. E’ durato un’ora, in tribunale, l’esame di Claudio Pagliari, ex responsabile dell’ufficio corpi di reato, finito a processo per omessa vigilanza nell’indagine sulla sottrazione di droga e armi dall’ufficio sequestri di palazzo di giustizia. Droga e armi che erano state rubate dai due dipendenti infedeli Francesco Manfredi, ex addetto dell’ufficio corpi di reato, e Attilio Valcarenghi, ex addetto alla cancelleria civile. Il primo, cassa integrato Tamoil e reclutato tramite agenzie interinali, ha già patteggiato una pena di quattro anni e dieci mesi, mentre il secondo, distaccato da un Comune negli uffici giudiziari, quattro anni e sette mesi. Nell’ottobre del 2016 entrambi erano finiti in carcere e poi ai domiciliari: Manfredi con l’accusa di concorso in peculato, violazione dei sigilli, falso e detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio, mentre Valcarenghi di concorso in peculato e detenzione illegale di armi da guerra e comuni da sparo. Manfredi, abusando della sua posizione, aveva asportato in diverse occasioni droga sequestrata e contenuta nei reperti destinati alla distruzione a seguito della chiusura dei processi. Da parte sua, Valcarenghi, appassionato di armi, si era fatto consegnare dal complice delle munizioni sequestrate che poi aveva nascosto all’interno di una tasca. Un altro imputato, Claudio Montanari, ex dipendente di un bar di via Mantova, processato con il rito abbreviato, è già stato condannato ad una pena di tre anni. Pagliari è stato il solo a scegliere il rito ordinario ed è l’unico ancora da giudicare. La sentenza nei suoi confronti sarà pronunciata il prossimo 8 novembre.
L’esame dell’imputato
Oggi, davanti al giudice e al pm Lisa Saccaro, l’imputato, che aveva la qualifica di direttore amministrativo, ha provato a difendersi, sostenendo di aver avuto altri compiti in altri uffici e di essersi fidato di Manfredi, ma la sua testimonianza è apparsa confusa e piena di contraddizioni, tanto che più volte sia il pm che il giudice gli hanno chiesto insistentemente di chiarire alcune delle sue dichiarazioni: all’inizio dell’esame, infatti, Pagliari ha dichiarato che scendeva nel caveau insieme a Manfredi, il quale avrebbe dovuto aiutarlo materialmente a collocare i corpi di reato nei vari scaffali. Ma dalle dichiarazioni degli investigatori e dei testimoni già sentiti a processo, lui non era mai presente. “In cinque anni non l’ho mai visto nel caveau”, aveva detto in aula l’ispettore superiore della polizia giudiziaria Damiano Bassi. Anche nella settimana in cui erano state montate le telecamere, di Pagliari non è stata trovata traccia. Il compito dell’allora direttore amministrativo, secondo quanto aveva spiegato la dirigente del tribunale Laura Poli, avrebbe dovuto essere quello di ricevere i corpi di reato dalle forze dell’ordine, controllare e firmare gli elenchi che Manfredi gli sottoponeva, verificare la natura e la destinazione del reperto, decidere la destinazione e controllare se tutto nel caveau fosse in ordine. Da quanto emerso oggi in aula, invece, l’impressione è che l’ufficio corpi di reato fosse gestito da Manfredi, e non da Pagliari, tanto che l’ispettore Bassi aveva raccontato di essere entrato in ufficio per depositare alcuni corpi di reato, ma Pagliari gli aveva chiesto di ripassare in quanto Manfredi in quel momento era assente. Non solo: Manfredi avrebbe gestito l’ufficio anche nei rapporti con la dirigenza. Ad ammetterlo è stato lo stesso imputato: “Io venivo superato da Manfredi che si rivolgeva direttamente alla dirigente Laura Poli”. Di questo, Pagliari ha detto di essersi lamentato, ma solo verbalmente. “Il caveau era sempre sistemato e ordinato”, ha sostenuto l’imputato, che ha riferito di non aver mai riscontrato anomalie. Pagliari ha comunque precisato di aver avuto anche altri settori di competenza, oltre ai corpi di reato: il recupero crediti, ad esempio, e il distaccamento due volte alla settimana presso gli uffici del giudice di pace.
Le indagini e l’installazione delle telecamere
L’attività investigativa aveva avuto origine dall’ispezione di alcuni corpi di reato destinati alla distruzione nei quali era stata riscontrata l’assenza del contenuto, droga, e chiari segni di manomissione dei sigilli. I sospetti erano caduti subito su Manfredi. Era lui che si occupava materialmente dei corpi di reato nel caveau del tribunale. Tra il 17 e il 24 ottobre del 2016, la polizia, entrando di notte, aveva installato telecamere ambientali con sensori di movimento per ‘beccare’ il responsabile. Manfredi era stato ripreso all’atto di aprire i reperti e di metterli in un sacco nero poi riposto in un armadio. Il video aveva ripreso anche Attilio Valcarenghi, la cui collaborazione era stata chiesta dallo stesso Manfredi alla dirigente per aiutarlo a trasportare i reperti più pesanti. Il 21 ottobre del 2016 le telecamere avevano fotografato Manfredi nell’atto di prendersi il contenuto del sacco nero. La polizia lo aveva seguito e fermato sotto casa. Con sè aveva 10 chili, tra hashish, marijuana e cocaina: droga, secondo quanto riferito in seguito dallo stesso Manfredi, destinata a Montanari, all’epoca dipendente di un bar in via Mantova. Ma quel giorno non c’era stata alcuna consegna. Nell’abitazione di Attilio Valcarenghi, invece, gli uomini della mobile avevano sequestrato un vero e proprio arsenale. “Era normale per Manfredi e Valcarenghi stare ore e ore nel caveau?”, ha chiesto il giudice all’imputato. “Immaginavo stessero facendo un lavoro di sistemazione. Mi fidavo”. Giù, a controllare, comunque, Pagliari non era andato.
La testimonianza del sindacalista
A suffragare l’impressione che fosse Manfredi, e non Pagliari, a gestire l’ufficio corpi di reato, è stata anche la testimonianza di Fulvio Di Giorgio, autista e sindacalista. “Manfredi, che faceva parte del personale esterno all’amministrazione giudiziaria, gestiva totalmente lui l’ufficio, mentre Pagliari, incapace di gestirlo, era una testa di legno che serviva per fare qualche firma. Anche quando lavorava in tribunale a Crema, dove aveva le stesse mansioni, non guardava mai nemmeno lo stato dei corpi di reato. A Cremona era Manfredi che controllava tutto e che riferiva direttamente alla dirigente Laura Poli. Per farsi bello portava anche dei mazzi di fiori a lei e alla presidente del tribunale. Valcarenghi, invece, il quale per sua natura si prestava molto ad aiutare il prossimo, si spostava dalla cancelleria civile per dare una mano a Manfredi”.
Le chiavi e le intercettazioni
Le chiavi del caveau erano custodite all’interno dell’ufficio corpi di reato che, come ha sottolineato l’imputato, non erano a suo uso esclusivo. Sulla questione delle chiavi, i difensori, gli avvocati Simona Bracchi ed Erminio Mola, hanno prodotto al giudice i brogliacci delle intercettazioni tra la ex presidente del tribunale Ines Marini e la dirigente Laura Poli. “Mi spiace solo che ci siano anche delle valutazioni su alcuni giudici”, ha detto l’avvocato Bracchi, che ha spiegato che la dirigente, impegnata a stilare la contestazione disciplinare per Pagliari, aveva riferito all’allora presidente che non c’era un ordine scritto in base al quale lui avesse l’utilizzo esclusivo delle chiavi, essendo il responsabile. “E’ stata l’ex presidente Marini”, ha spiegato l’avvocato Bracchi, “a dirle di correggere, scrivendo che le chiavi erano a suo uso esclusivo”.
Sara Pizzorni