Abiti usati e lavoro nero: patteggia il gruppo che sfruttava clandestini
Hanno patteggiato davanti al gup i 7 componenti del gruppo accusato di aver sfruttato manodopera clandestina nell’ambito dell’operazione ‘Stracci d’oro’ della squadra mobile. Gli imputati hanno patteggiato pene da un minimo di un anno ad un massimo di 2 anni e 4 mesi. La pena più alta è andata al tunisino Oualid Amor, 37 anni, assistito dall’avvocato Luca Curatti e dal collega di Crotone Antonio Elia. L’uomo era ritenuto il capo dell’organizzazione che per la procura avrebbe sfruttato come schiavi 15 lavoratori stranieri pagati tre euro al giorno nell’attività di raccolta e stoccaggio di indumenti usati e destinati in Tunisia. Il tunisino e due fratelli marocchini erano finiti in carcere nel gennaio scorso con l’accusa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. L’inchiesta, che aveva coinvolto anche i territori di Como, Lecco e Reggio Emilia, aveva portato ad indagare dieci persone, sette stranieri e tre italiani, di cui quattro all’epoca arrestati e tre destinatari dell’obbligo di dimora. 7 coloro che oggi hanno patteggiato: oltre a Oualid, anche Abdelhalim Hassaine, Khalil Elbettach, Abdelkbir Mrahi, Allal Hassaine, Abdelaziz Rochdani, tutti marocchini, e il napoletano Angelo Strano. Un’indagine che aveva consentito di sgominare una banda dedita allo sfruttamento del lavoro di soggetti stranieri, spesso richiedenti asilo o irregolari sul territorio, costretti a lavorare per 3 euro l’ora, a volte neppure pagati, in condizioni spesso estreme. Centro principale dell’attività del gruppo era Soresina, ma c’erano anche soggetti provenienti da province limitrofe. L’indagine aveva preso il via il 15 aprile 2018 in seguito ad un tragico incidente accaduto sulla statale tra Trigolo e Soresina, quando un furgone si era ribaltato in un fosso. Oltre al conducente, aveva perso la vita un richiedente asilo, che insieme ad altri era nascosto nel cassone. Il conducente era stato individuato come uno dei membri della rete. Si era poi riusciti a risalire all’attività di stoccaggio di vestiti usati, che andava avanti almeno dal 2017, e ad individuare la fisionomia della banda. Gli abiti venivano raccolti con lo stesso sistema che utilizzano le associazioni benefiche: attraverso l’impiego di cassoni per la raccolta e passando di casa in casa dopo aver appeso dei volantini. In questo modo i cittadini cadevano in inganno, credendo di donare a qualche ente. Anche i cassonetti erano collocati in posizioni strategiche, ossia nei parcheggi dei supermercati: in questo modo non occupavano suolo pubblico, e i direttori dei negozi pensavano si trattasse di beneficienza. Gli indumenti venivano poi portati in depositi presi in affitto per l’occasione (sette in tutto quelli individuati, tra Bergamo, Reggio Emilia, Como e ovviamente Cremona, in particolare Grumello Cremonese e Gallignano, frazione di Soncino). I vestiti venivano quindi stoccati dai lavoratori irregolari che operavano in condizioni pessime. Il tutto veniva poi caricato in container che arrivavano appositamente dalla Tunisia grazie a contatti in loco dell’organizzazione, e quindi spedito a Tunisi attraverso il porto di Genova. Un’attività, dunque, di respiro internazionale, che vantava contatti anche in Germania. Tra i carichi individuati dagli agenti, uno in particolare era composto da 20mila chili di vestiti, per un valore complessivo di 7mila euro, che venivano poi rivenduti in Tunisia a prezzi più alti, creando un notevole giro d’affari.
Sara Pizzorni