Cultura

"I Maggio, festa del lavoro che cambia: non perdiamo di vista la centralità dell'uomo"

di don Bruno Bignami, Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei.

Pubblicato sull’Osservatore Romano del 30/4/19

Il primo maggio è festa: fino a quando lo sarà ancora? Che cosa c’è da festeggiare? Occorre discernere i segni dei tempi e il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo tra mille paure e poca speranza. Proprio la «carestia di speranza» è un dramma che non ci può lasciare indifferenti: in fondo è «carestia di Vangelo». Ci sono due notizie: una cattiva e una buona. La cattiva è che attraversiamo un passaggio epocale nel campo del lavoro. Secondo alcune stime, il 65 per cento dei bambini che oggi frequentano la scuola primaria dovrà fare i conti con lavori che oggi non esistono. Il progresso tecnologico fa parlare di quarta rivoluzione industriale e spinge verso l’automazione: l’uomo sarà sostituito con algoritmi in grado di essere sempre più precisi. Come ce la caveremo in questa competizione con la
tecnologia? Quale sarà il ruolo della persona nel tempo dei robot e dell’intelligenza artificiale? Paure e mal di testa sembrano farla da padroni, se si dimentica la buona notizia.
Che è questa: ci sarà ancora bisogno dell’uomo. Anzi, sempre di più! Proprio quei profili oggi inediti andranno ad accompagnare e aggiornare il progresso tecnologico, mettendo da parte mansioni faticose e ripetitive. Comunque sia, poco umane e dignitose. Se la centralità dell’uomo non andrà in soffitta, rimangono due questioni su cui occorre allenarci e concentrare la nostra attenzione.
In primo luogo si tratta di vigilare perché in momenti di passaggio c’è il rischio concreto che qualcuno ne approfitti per aumentare i propri interessi, facendo crescere le disuguaglianze e peggiorando la qualità del
lavoro (sottopagato, alternativo alla famiglia, «in nero», totalizzante, sfruttato, produttivo di scarti umani o esuberi ritenuti inadatti al nuovo…).
Per questo occorre da subito mettere mano a meccanismi redistributivi: i benefici delle nuove tecnologie non possono essere solo a vantaggio di pochi eletti o scaltri. In secondo luogo — come scrive la commissione episcopale italiana per il lavoro nel suo messaggio per la giornata — c’è un capitale umano che mantiene tutta la sua attualità. «Le
macchine intelligenti non potranno mai competere con gli esseri umani in ciò che li rende veramente uomini: la vita di relazioni, la prossimità e la cura interpersonale». La chiave per affrontare adeguatamente le sfide del
futuro si chiama formazione. C’è bisogno di formazione delle competenze per non scendere dal treno dell’innovazione, che è dono e frutto dell’ingegno umano. Ma soprattutto, ci vuole formazione nell’umano: fiducia, dedizione, cura, capacità di relazione, gioco di squadra faranno la differenza. Nessun centro commerciale è in grado di metterle in vendita.
Per questo, la Chiesa potrà avere voce in capitolo e avrà risorse da mettere in gioco. La creazione di valore economico non potrà prescindere dalla creazione di valore sociale. Dunque, «mai perdere la speranza». Lo suggeriscono i vescovi, ed è il caso di crederci. È importante non perdere di vista il bene nel nuovo che avanza. Solo così, la buona notizia sarà anche «Vangelo».

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