Cronaca

Giustizia lumaca per i corsi 'fantasma': l’appello arriva 19 anni dopo i fatti

Diciannove anni dopo i fatti e più di dodici anni dopo la sentenza di primo grado. E’ arrivata in questi giorni la sentenza d’appello pronunciata dai giudici bresciani per una vicenda che risale al 2000. Uno dei due imputati, nel frattempo, è deceduto, e per l’altro il reato è stato dichiarato prescritto. Confermate, invece, le statuizioni civili, e cioè i risarcimenti decisi in primo grado dal tribunale di Cremona.

Una giustizia lumaca, quella che ha riguardato corsi ‘fantasma’ tramite i quali nel 2000 erano state truffate 54 aspiranti vetriniste e commesse. Tutte parti offese, quindici delle quali si erano costituite parte civile. Ad assisterle, numerosi legali cremonesi, tra cui gli avvocati Elena Pisati e Massimiliano Cortellazzi. Per loro, il 30 novembre del 2006, l’allora giudice di Cremona Paolo Bernazzani aveva disposto un risarcimento tra i 2000 e i 3000 euro a testa. Soldi mai arrivati nelle tasche delle vittime, che ora sperano di ottenerli dopo la sentenza d’appello, arrivata a quasi tredici anni di distanza dalla decisione di primo grado.

Nel 2006 entrambi gli imputati erano stati condannati: un anno e sei mesi erano stati inflitti a Filippo Baglì, all’epoca 43 anni, rappresentante unico della società N.C.F. con sede ad Asti, organizzatore dei corsi-truffa (nel frattempo deceduto), e due anni a Francesca Rubino, 48 anni, calabrese residente a Milano, stretta collaboratrice di Baglì. La condanna per truffa aggravata in concorso era stata però condonata per effetto dell’indulto. In appello a Brescia è rimasta solo la Rubino, ma il reato è stato dichiarato prescritto. Presenti anche in appello quasi tutti coloro che alla coppia avevano chiesto i danni.

Per l’accusa, gli imputati, tramite un’inserzione pubblicitaria, avevano messo in piedi corsi inesistenti con la garanzia di un posto di lavoro nei negozi di Cremona e provincia in cui le aspiranti vetriniste avrebbero dovuto fare lo stage. Le vittime avevano sottoscritto senza saperlo dodici cedolini in bianco, ma in realtà si trattava di cambiali da 392mila lire ciascuna. Nel 2000, nell’ufficio di via Belfiore, al colloquio si erano presentate 50 ragazze e 4 ragazzi, quasi tutti poco più che ventenni. Ad accoglierli c’era Francesca Rubino. Era lei che aveva fatto firmare il contratto in esecuzione del quale le vittime avevano sottoscritto dodici cedolini in bianco con la garanzia che, a fine corso, avrebbero trovato un posto di lavoro. In 25 casi, gli imputati avevano incassato le cambiali, negli altri 29 l’incasso era stato fermato grazie all’intervento dell’autorità giudiziaria.

Ai ragazzi era stato detto che partecipare a quel corso avrebbe garantito il rilascio di un attestato valido a livello nazionale,  necessario per entrare nel giro del commercio. Non solo: era stato detto loro che i tirocini già concordati con i titolari dei negozi della città sarebbero stati retribuiti, dunque alla fine le spese sostenute per il corso sarebbero state coperte dagli stages. In realtà, di quel corso i negozianti cittadini non sapevano proprio nulla.

Sara Pizzorni

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