Lo sfogo: 'Troppo italiana, obbligata ad ascoltare le prediche dell'imam in tv'
“Obbligata a vedere in televisione le prediche dell’imam perché dovevo cambiare la mia testa italiana”. E’ una delle frasi pronunciate da una senegalese di 33 anni che si è costituita parte civile contro il marito Alassane, connazionale di 49 anni finito a processo con l’accusa di maltrattamenti in famiglia. “Secondo lui”, ha spiegato la presunta vittima al termine dell’udienza di oggi, “non mi vestivo in modo consono, mi dava della puttana. Io sono musulmana, prego, ma la mia voglia di lavorare e di essere indipendente ha sempre vinto”.
La coppia, sposata dal 2002, non vive più insieme dal 2017. Lei ora ha un lavoro e ha preso un appartamento. I due, 16 anni di differenza, hanno in comune tre figli di 14, 10 e 8 anni.
Lei lo accusa di averla malmenata, insultata e minacciata, ma lui nega. Da vent’anni in Italia, senza precedenti, con un lavoro in un’azienda del cremonese, respinge di aver mai alzato le mani sulla moglie, ammettendo solo i litigi, ma perchè lei non lo considerava “sufficientemente islamico”. Secondo il senegalese, la moglie sarebbe diventata una musulmana radicalizzata: avrebbe indossato il velo e avrebbe ascoltato su Internet le prediche di un imam francese, costringendo il marito a farsi crescere la barba e obbligando i figli ad ascoltare solo la musica che diceva lei, proibendo a tutti di ascoltare la radio o di vedere la televisione. L’imputato, assistito dall’avvocato Paolo Carletti, si difenderà nel corso della prossima udienza, fissata per il 10 aprile, mentre lei, rappresentata dall’avvocato Massimiliano Cortellazzi, ha reso testimonianza oggi davanti al giudice Francesco Beraglia.
La sua versione dei fatti è totalmente opposta a quella del marito. In famiglia sarebbe stato lui il vero “musulmano radicalizzato”. “Quando ho iniziato a frequentare la scuola”, ha spiegato la donna, “lui è diventato geloso. Mi ha schiaffeggiato quando ero in gravidanza e mi accusava di essere una facile. Non voleva che studiassi, che uscissi, mi dava dell’ingrata, mi dava sberle davanti ai miei figli. Urlava, si agitava, in casa c’erano continui litigi, insulti e minacce di morte”. La donna ha riferito di essere stata pesantemente malmenata in diverse occasioni. “Mi ha picchiato con un bastone, mi dava calci, pugni, mi ha presa per i capelli trascinandomi a terra come un animale. Mi prendeva la testa e mi buttava contro il muro. Dopo mi chiedeva scusa, mi faceva dei regali e tornava ad essere l’uomo che avevo sposato, ma poi ridiventava violento. Ero sempre chiusa in casa, lui guardava cassette pornografiche e pretendeva che avessimo più di tre rapporti sessuali al giorno. Anche con i figli non era il papà che avrebbe dovuto essere”. Alla fine la donna era riuscita di nascosto a mettersi in contatto con i servizi sociali.
Nella sua denuncia, sporta il 18 maggio del 2017, aveva fatto mettere a verbale che sin dalla nascita del loro primo figlio aveva scoperto che il marito rappresentava “un gravissimo pericolo” per la sua integrità psico fisica e per quella dei figli. La sua parola contro quella dell’imputato. In favore del marito, infatti, come aveva già fatto notare la difesa in sede di udienza preliminare, ci sono solo referti medici che attestano una forte emicrania di cui la donna soffriva e per la quale era in cura. “Nessuna prova contro il mio assistito”, aveva già detto l’avvocato Carletti. “Non ha mai alzato le mani, le accuse della moglie sono pura invenzione”. Per lei, invece, quelle emicranie erano gli effetti delle botte che subiva.
Sara Pizzorni