Cultura

CULTURA-La fauna reinventata da Federico Bianchi all'Agorà di Castelverde

di VITTORIO DOTTI

AGGIORNAMENTO – Posticipata la chiusura della mostra “FAUNA” dell’artista Federico Bianchi presso il Centro Culturale Agorà di Castelverde.  L’esposizione, che era stata inaugurata il 20 ottobre, è stata prolungata fino al 1 dicembre e sono stati allargati gli orari di apertura; a partire da lunedì 26 novembre Agorà rimarrà aperto al pubblico lunedì, mercoledì, giovedì e venerdì dalle 15.00 alle 18.00 e il sabato mattina dalle 9.30 alle 12.30.

“Fauna” è il titolo della magnifica esposizione dell’artista cremonese Federico Bianchi allestita nel portico del Centro culturale Agorà di Castelverde, a cura dell’art events manager Elena Dagani, alla quale la sensibilità dell’assessore alla cultura Nicoletta Domaneschi ha messo a disposizione uno dei luoghi espositivi più accoglienti della provincia di Cremona.
La mostra è costituita da quattro sezioni tematiche di soggetti pittorici: tavole di varia grandezza e tutte di vigoroso impatto cromatico raffiguranti mucche, api, galline e gatti. Alle tele si aggiungono sculture metalliche di commoventi pulcini, di piccoli cavalli dai fianchi sodi e dai neri garretti reticolati; poi ancora api, in un groviglio ronzante di zampe e d’ali color bronzo e rame; una maestoso gatto accucciato in riposo e un altro seduto in posa altera ma non scontrosa; infine una meravigliosa sezione dedicata al mondo marino: sagome di pesci, al contempo stabili e fluttuanti, che l’artefice ha ottenuto connettendo in modo sorprendente nuclei di pietra con scaglie e fini reticoli di metallo, screziato dall’azione corrosiva di acidi e d’altri processi di sua ideazione coi quali Bianchi è intervenuto alterando in modo artistico la struttura molare delle superfici.
Tutti i dipinti esposti sono di elevato livello espressivo e denotano in Bianchi la piena padronanza del disegno dinamico; sono però le sculture, a mio avviso, le creazioni più originali dell’artista, che riesce con esse a riprodurre – plasmando la materia come se nello spazio disegnasse schizzi tridimensionali – la struttura pulsante del corpo animale.

Tanto risulta pregnante questa rappresentazione, che non è difficile immaginare come di notte, quando il Centro Agorà si spopola dei suoi assidui frequentatori, le mucche i cavalli i gatti e le galline e le api si possano animare e convergere verso un convegno di orwelliana memoria. Nel buio della fattoria ora deserta di presenza umana, il silenzio vien rotto dai muggiti delle vacche, le api sospirano i loro queruli ronzii, si avverte il miagolio sempre più distinto dei gatti, mentre i polli, sempre affamati e mai sazi, ‘quacquerano’ pigolii mesti, a cui nessuno soccorre. Nelle sale della biblioteca, attigua al portico sede dell’esposizione, lo sguardo di un lettore fantasma percorre a lume di candela le pagine d’un volume che l’uso ha gualcito e che altro non potrebbe essere se non La fattoria degli animali di George Orwell. Ove si legge del verro Biancocostato che alza la zampa in segno di rivolta e arringa – in verità poco ascoltato – gli altri animali, suoi compagni di sventura, incitandoli a sgravarsi del giogo ingiusto imposto sul loro capo da quell’orrenda bestia che è l’uomo (e, invero, talvolta anche la donna). E se certo non è verosimile che in una cascina di Greencastle la libertà possa venir conculcata dall’egoismo e dalla cupidigia del maiale Napoleon e da una classe suinesca di burocrati (come accade invece nell’apologo orwelliano), a noi piace sognare che alle prime luci dell’alba, quando un incerto chiarore dissipa la dolente foschia dei coltivi circostanti, i gagliardi animali di Bianchi intonino l’inno utopistico della rivoluzione:

Animali d’Inghilterra, / d’ogni clima e d’ogni terra, / ascoltate il lieto coro:
tornerà l’età dell’oro!

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