Cronaca

L'ex comandante dei vigili Germanà perde la causa di lavoro contro il Comune

Nella foto, da sinistra l'avvocato Cistriani per il Comune e l'avvocato Cortellazzi con il suo assistito Germanà

Vittoria per il Comune nella causa di lavoro promossa dall’ex comandante della polizia municipale di Cremona Fabio Germanà Ballarino. Il giudice Annalisa Petrosino ha dato ragione all’amministrazione, rigettando il ricorso dell’attuale dirigente dei vigili di Lodi e condannandolo pure a pagare le spese di lite. Germanà, che lamentava di essere stato sottoposto a ‘straining’, cioè stress forzato causato dalla dequalificazione, chiedeva un risarcimento di 200mila euro. Si chiude così la causa che ha visto scontrarsi l’amministrazione comunale, rappresentata dall’avvocato Enrico Cistriani, e Germanà Ballarino, rappresentato dal legale Massimiliano Cortellazzi.

A Cremona l’ex comandante era stato mandato a guidare la centrale operativa per nove mesi per poi essere trasferito a comandare l’ufficio infortunistica. Unico teste che il precedente magistrato Antonia Gradi  aveva ritenuto di dover sentire era stato l’attuale comandante della polizia municipale di Cremona Pierluigi Sforza, nel 2014 voluto dal sindaco Gianluca Galimberti al posto di Germanà. Nella sua testimonianza, Sforza aveva parlato in generale dell’organizzazione degli uffici, mentre per quel che riguarda il dopo Germanà all’avvicendamento alla centrale operativa aveva riferito che per otto mesi c’era stata una rotazione di personale fino a quando era stato individuato un ufficiale da inserire alla centrale. Una figura, secondo l’ex comandante, che però, a differenza sua, non ha mai rivestito le funzioni dirigenziali previste dalla Regione Lombardia. Ciò che Germanà ha sempre voluto sottolineare è che quel posto che il Comune ha sostenuto essere di assoluto prestigio, alla fine era andato ad un ufficiale che non era in possesso delle qualifiche appartenute invece all’ex comandante, che è laureato, che ha frequentato l’accademia, che ha partecipato a delle selezioni e che ha rivestito funzioni di dirigente, tanto che oggi ricopre un ruolo dirigenziale con responsabilità in diversi settori presso il comando della municipale di Lodi. Dunque, secondo le conclusioni dello stesso Germanà, per lavorare alla centrale operativa non c’era bisogno di una figura con le sue competenze.

“Il dottor Germanà”, aveva già spiegato da parte sua l’avvocato Cortellazzi, “è passato da comandante a portinaio”. Nel ricorso, di venti pagine, si parla di “dignità pesantemente danneggiata”, di “indubbia sofferenza emotiva sia all’interno che all’esterno del luogo di lavoro”.

Nella memoria depositata dall’avvocato Enrico Cistriani per conto del Comune, invece, si sosteneva che “le affermazioni di Germanà si palesano assai lontane dalla realtà operativa, nonché volutamente riduttive, per usare un eufemismo, dei compiti sottesi al ruolo di ufficiale responsabile di centrale operativa, a cui, per inciso, non spetta precipuamente il compito di rispondere alle chiamate e alle segnalazioni, bensì quello di presidiare la centrale ed adottare le necessarie e talvolta delicate determinazioni circa le linee operative da adottare”. Per il Comune, “lo stato di disagio lavorativo e di stress forzato” lamentato da Germanà “non trae necessariamente origine da situazioni di demansionamento o di dequalificazione, ben potendo, tale disagio, essere causato da svariate altre ragioni”.

La motivazione:

“Si ritiene”, si legge nelle 8 pagine di motivazione, “che, nella fattispecie, il ricorrente non abbia allegato – prima ancora che provato – l’esistenza di una condotta datoriale illecita per violazione dell’art. 2087 c.c.; né peraltro sono emersi elementi idonei a porre la sua lamentata condizione di disagio psichico in relazione causale con la predetta condotta datoriale. E invero, manca una condotta datoriale ostile nei confronti del lavoratore e tale da causare la situazione lavorativa di disagio e di stress lamentata dal ricorrente.
Del tutto generiche risultano, infatti, le allegazioni attoree circa le mansioni svolte presso la Centrale operativa, in ipotesi determinanti il prospettato impoverimento professionale – le sue incombenze consistettero, essenzialmente, nel rispondere al pubblico ed al personale quale assistenza radio, ed apertura del cancello. Come sopra evidenziato, invece, le condotte vessatorie anche in caso di straining – in cui assume minore rilievo il dato numerico e la vicinanza temporale – devono essere rigorosamente descritte, allo scopo di verificare l’esistenza del nesso eziologico tra le stesse e il danno asseritamente patito dal lavoratore. Peraltro, il ricorrente non descrive anche le mansioni e le incombenze effettivamente svolte nel ruolo di Comandante (precedentemente rivestito) o le mansioni che avrebbe svolto in altro ruolo confacente alle capacità professionali e all’esperienza acquisita.
“Di talchè”, prosegue il giudice, “è precluso qualsiasi confronto fattuale con la situazione lavorativa vissuta presso la Centrale operativa e la situazione lavorativa pregressa o ambita; conseguentemente, è impossibile individuare la prospettata perdita di capacità professionale. Del pari generica è la descrizione delle modalità in cui la condotta datoriale avrebbe, in ipotesi, creato un ambiente ostile per il lavoratore privandolo perfino degli strumenti di lavoro. Parte ricorrente si limita ad affermare di essere stata privata degli ‘strumenti di lavoro che aveva sino a quel momento, tra cui software ed accesso a banche dati di livello’. Ebbene, non sono specificamente indicati i software e le banche dati che aveva utilizzato prima dell’impiego presso la Centrale operativa (di cui veniva privato) nonché la funzionalizzazione di tale dotazione all’espletamento delle mansioni svolte presso la suddetta Centrale”.
“La lacunosità assertiva in ordine a quanto il lavoratore facesse”, si legge nella motivazione, “sia prima di iniziare che dopo avere iniziato a lavorare come responsabile della Centrale operativa, nonché in ordine alla differenza sostanziale dei compiti svolti (prima e dopo) impedisce ogni accertamento sulle ipotizzate perdita di capacità professionale e mancata acquisizione di una maggiore capacità professionale. La descrizione di fatti generici ed equivoci rafforza inoltre il convincimento sulla circostanza che la ferma, per quanto fallace, prospettazione attorea sia, piuttosto, il risultato di una convinzione del ricorrente di essere vittima di una persecuzione; siano, quindi, solo frutto di una percezione soggettiva basata sulle aspettative lavorative maturate dallo stesso (in ragione del proprio titolo di studio e dell’incarico a termine precedentemente rivestito). Del resto, che la ricostruzione dei fatti effettuata dal ricorrente sia frutto di una percezione esclusivamente soggettiva trova conferma anche in una pluralità di elementi gravi, precisi e concordanti”.
“In ultimo”, conclude il magistrato, “va sottolineato che anche la scelta del nuovo Comandante Sforza di applicare il ricorrente alla Centrale operativa, nonostante quest’ultimo ambisse a rivestire la carica di Ufficiale di coordinamento e controllo della Polizia di prossimità, non può essere ricondotta a un evanescente intento di demansionare il medesimo – per quanto sin qui detto solo percepito dal ricorrente e non fondato su fatti precisamente descritti su un piano assertivo e oggettivamente riscontrabili su un piano asseverativo. E infatti, vero è che il Comandante, nel messaggio del 10.8.2014 chiedeva ai candidati per i ruoli di coordinamento – tra cui il ricorrente – di indicare delle “ipotesi di gradimento”, ma è altrettanto vero che, appunto, trattavasi solo di proposte, non vincolanti, in quanto tali, per l’organo deputato al conferimento dei suddetti incarichi. Senza considerare che, nel medesimo messaggio, viene messa in rilievo la scopertura, non solo del posto relativo alla gestione della polizia di prossimità, ma anche del posto di coordinamento della Centrale operativa. Il ricorrente, nulla ha dedotto circa la circostanza per cui il primo dei predetti posti dovesse essere per lui meno dequalificante del secondo, con ciò impedendo ogni verifica del lamentato intento vessatorio sotteso alla scelta”.

Sara Pizzorni

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