Cronaca

Alimentazione, virus, nebbia e inquinanti: così l'Ats studia l'incidenza dei tumori

Sono circa 2.500 ogni anno i nuovi casi di tumore in Provincia di Cremona (547,7/100.000 gli uomini e 368,4/100.000 le donne): questo il dato fornito dall’Ats Valpadana, che fornisce un quadro piuttosto sconfortante relativamente alla salute complessiva della popolazione. Analizzando i dati nel dettaglio, come spiega il dottor Paolo Ricci, responsabile dell’Osservatorio epidemiologico dell’Ats Valpadana, emerge che Cremona si trova in una situazione di notevole incidenza, specialmente per alcune tipologie di cancro.

Sono gli uomini ad essere maggiormente esposti al rischio, specialmente per i tumori allo stomaco, al pancreas e al rene, che hanno rispettivamente un’incidenza di 35,7/100.000, 18,2/100.000 e 23,2/100.000. Dati tra i più alti nel raffronto con le province vicine. Per le donne, invece, il primato di incidenza è per il tumore al rene, con 11,7/100.000 casi all’anno.

“Il tumore allo stomaco, così come quello al pancreas, è ormai un primato consolidato da diversi anni per il territorio cremonese” spiega Ricci. “Questo rimanda a probabilmente a particolari presenze virali, ma anche a una questione di alimentazione. Anche per il pancreas, del resto incide la questione alimentare. Novità è invece l’elevata incidenza del tumore al rene”. Altro tumore con alta incidenza è quello alla mammella, che per le donne è quello più frequente, con 124,2 casi ogni 100mila abitanti.

Ma ciò che invece fa spiccare il nostro territorio è l’incidenza della mortalità, che è la più alta rispetto ai territori limitrofi (Mantova, Brescia, Bergamo, Milano, Piacenza e Parma), sia per i maschi che per le femmine: si parla di 266,3 casi ogni 100mila abitanti uomini e 139,3 casi ogni 100mila donne. Nell’ambito del numero di morti sono tanti i dati per cui il Cremonese spicca, guardando sempre alla fetta maschile della popolazione: di nuovo appare il cancro allo stomaco, con una mortalità di 25,7/100mila persone. Più alte della media anche quella al fegato (26,8), al pancreas (17,2), al rene (7,8), le leucemie (8/100.000) e il linfoma NH (8,2). Per quanto riguarda la parte femminile della popolazione, record di morti ogni anno per il tumore alla mammella (29,6/100.000), per quello allo stomaco (10/100.000) e per quello al pancreas (11,6).

Guardando le tabelle, emerge anche quali siano i tumori più letali: come quello al polmone, che su 77,4 uomini che si ammalano ogni anno ci sono 70,1/100.000 morti. Così come quello al pancreas, che su 18,2/100mila nuovi malati ogni anno, conta 17,2/100.000 morti. Situazione simile anche per le donne: per il polmone, il pancreas e il fegato la differenza tra numero di malati e numero di morti è piuttosto bassa, così come per le leucemie.

I tumori che hanno esito letale sono più rari in quelle patologie per le quali sono possibili gli screening preventivi. “Questo perché essi consentono una diagnosi precoce, come nel caso del tumore alla mammella e dell’utero” spiega Ricci.

Altro dato interessante, è il raffronto tra i casi di tumore che si registrano in città e quelli che si registrano nel distretto di Cremona (quindi esclusi Cremasco e Casalasco): la città, infatti, risulta “maggiormente colpita, in percentuale, dall’incidenza di tumori. Questo significa che nel tessuto cittadino vi sono diversi fattori di rischio, più elevati rispetto a quelli a cui sono esposti coloro che vivono in campagna. Emerge dunque un’ipotesi legata all’inquinamento ambientale”.

Proprio da queste riflessioni è partito lo studio epidemiologico, che coinvolgerà il comune di Cremona e quelli immediatamente limitrofi. Tra le possibili fonti inquinanti, vi sono “il traffico veicolare, che in città è particolarmente intenso, compresa la presenza dell’autostrada, gli insediamenti industriali e la raffineria Tamoil, che sebbene sia stata chiusa nel 2013 ha fatto sentire i suoi effetti per tanti anni” spiega ancora Ricci. Ma a penalizzare ancora di più Cremona, neppure a dirlo, è una condizione ambientale legata alla conformazione territoriale, ossia la nebbia. “Purtroppo la città si trova in un cul de sac in cui la nebbia ristagna, facendo ristagnare anche le sostanze inquinanti” evidenzia il medico.

Uno studio che però risulta essere ancora molto indietro, per una serie di concause: “Un po’ ha pesato il riassetto organizzativo dell’istituzione, che ha visto l’accorpamento delle Asl territoriali nell’Ats Valpadana” spiega il medico. “Un po’ siamo stati rallentati dalla riflessione che non si possono considerare solo i residenti attuali di una determinata zona ma tutti quelli che vi hanno abitato nel corso degli ultimi 20 anni. Questo comporta naturalmente un lavoro notevole di ricerca da parte delle anagrafi dei Comuni interessati, che già si sono messi al lavoro. Intanto abbiamo raccolto le informazioni per stabilire le aree di ricaduta dello studio nonché quali siano gli indicatori sanitari da utilizzare”. Prossimo step sarà quello di una presentazione pubblica, che probabilmente verrà organizzata entro l’estate, di quanto fatto sinora. Di questo studio si occupa un gruppo di lavoro, coordinato da me, formato da un gruppo interdisciplinare di medici, con la supervisione di un membro dell’Istituto Superiore di Sanità e uno dell’Oms: questo ci consente di avere un confronto di massimi livelli di competenze”.

Laura Bosio

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