Dai lager alla speranza: i giorni cremonesi degli ebrei in transito nelle ex caserme
di Marco Bragazzi
La stella di David sul petto non è quella riservata agli abitanti del ghetto durante l’Olocausto, così come le file ordinate di persone non sono quelle davanti ad un treno merci che aveva come destinazione, spesso, un campo di concentramento o una camera a gas. Le immagini sono quelle legate al ritorno alla vita quotidiana dei rifugiati ebrei che, dal 1945 al 1948 circa, passavano per Cremona in attesa di tornare a vivere in una nuova nazione, sfuggiti alle fosse comuni o ai forni crematori e in attesa di scoprire una vita nuova che non dipendesse più dal numero tatuato su un braccio o dalle scelte di un kapò prese a tavolino. La stella di David è quella di una squadra di calcio, il campo è forse all’interno dell’oratorio di Sant’Ilario, dove alcuni ragazzi con i volti sorridenti non lasciano trasparire gli orrori che hanno dovuto affrontare ma, nella loro nuova “casa” a Cremona, si preparano ad una partita contro qualche coetaneo cremonese.
Le lunghe file di ebrei, uomini donne e bambini, immortalate nelle strade cittadine del centro si erano formate per protestare contro lo stallo o le reticenze di alcune nazioni nelle trattative per la formazione dello Stato d’Israele che, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino al 1948, diventerà uno dei punti cardine da affrontare per l’Assemblea delle Nazioni Unite all’interno del panorama del Medio Oriente.
Le istantanee cremonesi non raccontano le privazioni e le torture da quasi tutti loro, sono immagini di momenti anche divertenti, come quello tra due ragazzi che scherzano al suono di un violino, immagine emblematica per chi vive nella città della liuteria, oppure un gruppetto di amici i quali, di fronte alla Caserma La Marmora ora zona parcheggio Villa Glori, si fanno immortalare mentre dietro di loro campeggia il motto “Chi è stato bersagliere a venti anni resta bersagliere per tutta la vita”, quasi come tributo allo storico corpo di fanteria dell’Esercito Italiano.
I rifugiati erano alloggiati in massima parte nella zona del Parco dei Monasteri o delle ex caserme come la Pagliari e la San Martino e per molti di loro, dopo anni di sofferenze e di privazioni, cominciava una nuova esistenza tra studio, lavoro, svago e, a volte, anche cortei di protesta. Il ritorno alla normalità passava anche tra la cartamoneta stampata apposta per i rifugiati che vivevano all’interno del parco o alle giornate dedicate alle festività ebraiche, nella speranza di trovare una nuova nazione o una nuova famiglia partendo dal Parco dei Monasteri a Cremona. Grazie ai volontari del Fondo Ambiente Italiano il 24 e 25 marzo sarà possibile visitare parte del Parco dei Monasteri, per alcuni anni, la “casa” di color che riuscirono a sopravvivere all’Olocausto.