Ex don Inzoli, la Cassazione conferma la condanna: 4 anni, 7 mesi e 10 giorni
Per l’ex don Mauro Inzoli, 68 anni, è arrivato l’ultimo grado di giudizio: la Corte di Cassazione ha confermato la condanna emessa in appello il 21 settembre del 2017: 4 anni, 7 mesi e 10 giorni invece dei 4 anni e 9 mesi inflitti in primo grado per abusi sessuali su minori con l’aggravante dell’abuso di autorità. La riduzione della pena è dovuta all’intervenuta prescrizione di due episodi contestati all’imputato, ridotto nel maggio del 2017 con sentenza definitiva allo stato laicale da Papa Francesco.
Il carismatico capo di CL, che è stato anche fondatore e presidente del Banco Alimentare di Crema, animatore della Onlus “Fraternità”, parroco della chiesa della Santissima Trinità di Crema e rettore del liceo linguistico Shakespeare, processato con il rito abbreviato, doveva rispondere di otto casi di violenza sessuale commessi sia nel suo ufficio dove teneva gli esercizi spirituali con i ragazzini, sia negli alberghi dei luoghi di villeggiatura dove CL portava i minori durante le vacanze estive.
I fatti sarebbero accaduti tra il 2004 e il 2008. Tra le persone offese, un ragazzino all’epoca di soli 12 anni e un altro di 13. Sono gli episodi più gravi in quanto commessi ai danni di minori di 14 anni. Le altre vittime avevano tra i 14 e i 16 anni. Nel conteggio della pena è stato tenuto conto anche del risarcimento alle due parti civili e ad altre tre parti offese. A ciascuno dei cinque minori, in primo grado l’ex religioso aveva riconosciuto una somma di 25mila euro.
Da parte dell’ex prete ci sarebbero stati baci, carezze, abbracci, toccamenti nelle parti intime e masturbazioni. “Negli anni”, scriveva il gup Letizia Platè nelle venti pagine di motivazione della condanna di primo grado, “don Inzoli ha approfittato con spregiudicatezza della propria posizione di forza e prestigio per ottenere soddisfazione sessuale, tradendo la fiducia in lui riposta dai giovani nei momenti di confidenza delle proprie problematiche personali ed anche nel corso del sacramento della Confessione, ammantando talora le proprie condotte di significato religioso, così confondendo ulteriormente i giovani”.
La difesa, rappresentata dagli avvocati Nerio Diodà e Corrado Limentani, del foro di Milano, oltre alle prescrizioni, ha sostenuto anche la linea del ‘Ne bis in idem’, e cioè il principio secondo il quale non si può essere condannati due volte per gli stessi fatti. In questo caso, essendo l’ex don Inzoli già stato condannato in sede ecclesiastica per gli stessi fatti, non avrebbe potuto essere di nuovo condannato in sede di giustizia ordinaria.
Sara Pizzorni