Da centro culturale a moschea in via S. Bernardo: maggioranza orientata al no
Il centro culturale islamico molto difficilmente potrà diventare moschea, assecondando la richiesta pervenuta agli uffici comunali dell’urbanistica, in questi mesi occupati nelle controdeduzioni alle richieste di varianti del Pgt e che gli islamici cremonesi chiedono fin dall’epoca dell’inaugurazione della nuova sede del circolo La Speranza, in via San Bernardo. L’argomento è tornato d’attualità in questi giorni e se ne è parlato in una riunione di maggioranza, dalla quale sarebbe emersa l’intenzione della compagine che appoggia il sindaco Galimberti, di negare la variazione per ragioni legate anche alla pubblica sicurezza. Il centro culturale islamico La Speranza era stato inaugurato a maggio 2014, sul finire dell’amministrazione Perri. Per poter diventare luogo religioso a tutti gli effetti, occorre una modifica al Piano dei Servizi del Pgt che inquadri quest’area come area per attrezzature religiose e di interesse comune.
Nel corso di questi anni il centro islamico ha inviato più richieste di modifica allo strumento urbanistico, una sicuramente nel 2014, quando già si cominciava a parlare di nuove norme più restrittive allo studio della Regione Lombardia, un’altra nel 2015, poco dopo l’emanazione della legge regionale, la n.2/2015, sui ‘principi per la pianificazione delle attrezzature per servizi religiosi’. La presidenza del Consiglio dei Ministri fece ricorso alla Consulta contro questa legge, che venne in buona parte considerata incostituzionale con sentenza pubblicata a marzo 2016. Tra i punti critici: la questione della libertà di culto che verrebbe inficiata; la necessità, da parte dei richiedenti, di montare un sistema di videosorveglianza a proprie spese collegato con la Polizia; l’acquisizione di pareri di organizzazioni, comitati di cittadini, esponenti e rappresentanti delle forze dell’ordine, oltre alla questura e alla prefettura, al fine di valutare ‘possibili profili di sicurezza pubblica’. Queste le norme bocciate dalla Consulta. Ma lo scorso marzo, una circolare esplicativa dell’assessore regionale Beccalossi chiariva che “i Centri culturali nati dopo la Legge 2/2015, se prevedono nel loro statuto finalità religiose o, di fatto, svolgono regolarmente funzioni di luogo di preghiera, sono da equipararsi a tutti gli effetti a luoghi di culto. Per quelli, invece, già esistenti prima dell’entrata in vigore della stessa norma regionale (quindi per il centro La Speranza) la possibilità di svolgere attività legate al culto è vincolata alla destinazione d’uso dell’edificio che ne ospita la sede che può essere concessa solo previa modifica del Pgt per inserire l’area nel piano delle attrezzature religiose.
“In pratica – ha spiegato Beccalossi – i sindaci hanno il potere di intervenire su quei centri culturali islamici che, di fatto, usano capannoni, magazzini, negozi e anche appartamenti per svolgere funzione di luogo di preghiera”.
Una patata bollente per i sindaci, quindi, che hanno nelle loro mani la libertà di decidere se un centro culturale islamico possa diventare moschea. Una ‘libertà’ che oltre ad essere politicamente scomoda deve fare i conti con Prefettura e Questura, come avviene in tutte le questioni in cui ci siano di mezzo ordine e sicurezza pubblici.
G. Biagi