False coop e frode fiscale, cinque rinvii a giudizio. C'è anche l'imprenditore Giavardi
Secondo l’accusa, avrebbero messo in piedi un’associazione a delinquere specializzata nelle frodi fiscali sfruttando false cooperative di lavoro con un giro di milioni di euro. Il quadro accusatorio parla della gestione di 14 cooperative con oltre 300 dipendenti impiegati in varie aziende di macellazione e lavorazione di prodotti alimentari tra Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Cooperative in realtà fittizie secondo quanto scoperto dalle indagini, senza alcuna parvenza di vita sociale o mutualistica.
Cinque le persone rinviate a giudizio questa mattina dal gup Christian Colombo: tra loro, Giancarlo Giavardi, 58 anni, imprenditore di Pandino residente a Cremona, ex presidente onorario della nota associazione di volontariato City Angels di Milano, sostenitore della struttura di accoglienza per donne ‘Casa Silvana’ e destinatario del premio ‘Il dono dell’umanità’. A processo anche il suo braccio destro Maurizio Rodini, 63 anni, di Cremona, Mattia Plinio Rossetti, 34 anni, di Pandino, genero dell’imprenditore, Salvatore Di Nunzio, 54 anni, fiscalista campano e l’impiegata Stefania Grazia Petri, 52 anni, nata a Viareggio e residente a Lodi, quest’ultima assistita dai legali cremonesi Roberto Guareschi e Marcello Lattari. Per loro, il processo inizierà il prossimo 3 ottobre.
Gli imputati, tranne la Petri, erano finiti in arresto nel 2014 al termine dell’operazione Borea della guardia di finanza di Cremona. Per l’accusa, quantomeno dal dicembre del 2006, avrebbero costituito e diretto un’attività di impresa con la quale avrebbero affittato la manodopera di una numerosa forza lavoro mediante contratti di appalto con ditte committenti (per un fatturato complessivo tra il 2007 e il 2012 di 58.842.473 euro), dissimulando l’attività di impresa con la costituzione del consorzio Cogemas Italia di Cremona e di 14 cooperative in capo alle quali avrebbero suddiviso i lavoratori dipendenti e prive dei tipici requisiti mutualistici. L’inchiesta parla di lavoratori che sulla carta figuravano come soci e che ignoravano completamente i loro diritti.
Sempre per la procura, “sulle cooperative venivano fraudolentemente traslati i ricavi dell’attività imprenditoriale mediante l’emissione, da parte delle cooperative e nei confronti del consorzio, di fatture per operazioni inesistenti per 54.558.242 euro, con le quali si rappresentavano come prestazioni di servizio le prestazioni di lavoro subordinato rese dai lavoratori dipendenti. Gli oneri tributari venivano annullati mediante l’annotazione nella contabilità delle cooperative di costi falsi derivanti da fatture per operazioni inesistenti, pari a 80.785.732 euro per gli anni 2007/2012, consentendo all’organizzazione di indicare nelle dichiarazioni annuali ai fini delle imposte dirette e dell’Iva per gli anni 2007/2011 costi falsi per 59.840.649 euro, procurandosi così un indebito risparmio fiscale di quantomeno 12.537.463 euro”. Il provento del reato era poi prelevato dai conti correnti di tutte le cooperative ed era in parte destinato a retribuire le ore di lavoro in nero dei dipendenti, e in parte a pagare gli imputati.
Secondo l’accusa, Giavardi, considerato il capo dell’organizzazione, avrebbe fatto confluire in un trust familiare i beni immobili acquisiti nel tempo e intestati ai più stretti congiunti. Una volta saputo dell’indagine, il gruppo avrebbe cercato di concordare con il personale le dichiarazioni da rendere agli inquirenti e successivamente si sarebbe attivato in vista delle perquisizioni per adeguare la struttura organizzativa, trasferendo parte del personale in nuove cooperative di soci artigiani in modo da spostare in capo a questi ultimi l’onere previdenziale. Sentito il 23 dicembre di tre anni fa dal giudice Letizia Platè, Giavardi, all’epoca ai domiciliari, aveva ammesso di aver fatto del nero, “ma la cifra”, aveva precisato, “è totalmente diversa da quella contestata: in realtà è meno di un quarto, non si è tenuto conto degli stipendi pagati. Cifre che sono andate in tasca agli operai che tra l’altro non sono per niente sottopagati”.
La procura, invece, considera Giavardi, che nell’interrogatorio aveva scagionato gli altri imputati, dicendo “prendevano ordini da me”, il promotore e il capo dell’associazione. Di Nunzio, invece, avrebbe coordinato le attività degli impiegati amministrativi del consorzio che si occupavano della gestione delle scritture contabili obbligatorie e della tenuta dei libri sociali delle coop. Di Nunzio avrebbe anche messo a disposizione dell’associazione un programma informatico di gestione della contabilità con il quale era possibile alterare la numerazione progressiva delle fatture passive e inserire in mensilità già concluse fatture per operazioni inesistenti emesse successivamente, predisponendo fatture indicanti costi fittizi che consegnava a Cremona al personale amministrativo deputato alla tenuta della contabilità obbligatoria perché venissero registrate nelle scritture contabili delle cooperative associate al consorzio Cogemas. Il ruolo di Rodini, invece, sarebbe stato quello di dirigere la forza lavoro fittiziamente ripartita tra le false coop e di operare sui conti correnti delle cooperative. L’impiegata, da parte sua, avrebbe collaborato alle attività e agli scopi dell’organizzazione, curando gli adempimenti contabili delle cooperative.
Nell’indagine, la finanza aveva sequestrato 16 immobili per un valore dichiarato nelle carte ufficiali di oltre 2,5 milioni. Sotto sequestro anche beni come una cassaforte, preziosi, veicoli e uno yacht da 70mila euro ormeggiato sul lago di Garda. “Un natante lungo meno di 9 metri”, secondo Giavardi, “non cabinato e che ha più di 10 anni, di valore minimo”. “Inoltre gli immobili”, aveva precisato il presunto capo dell’organizzazione, “non sono 16, ma 5 o 6, alcuni dei quali veri ruderi, vale più il terreno. E le cooperative non sono false, ma esistono e lavorano”.
Sara Pizzorni