Lettere

Bordo: diffido delle norme
interpretabili a seconda dei 'valori'

da Franco Bordo

Egregio Direttore,
rispetto alla sentenza di questi giorni circa il pugnale religioso non posso non osservare come l’espressione «conformarsi ai nostri valori» sia un’indicazione vaga che rischia di diventare contraddittoria.
Vaga perché il termine «valori», in una sentenza di tribunale, è quanto di meno definito esista: proviamo infatti a metterci nei panni di chi debba indicare i primi tre valori fondanti e unificanti per il nostro Paese; probabilmente potremmo scegliere qualcosa tipo la democrazia, la libertà e la solidarietà. Ce ne sarebbero però davvero moltissimi altri, quali l’onestà, la collaborazione, il rispetto, il lavoro: tutti assolutamente degni, tanto da rendere impossibile il compito di individuarli tutti.
Siamo così convinti che tutti, italiani e non, perseguano questi valori?
È un valore il caporalato a cui tanti indiani Sikh devono sottostare per lavorare in vaste aree del nostro Paese?
Inoltre, tra i tanti valori, non se ne può annoverare uno della «conformazone» che anzi, almeno dal periodo fascista, appare come negativo e sospetto, come molto più simile a un disvalore.
Ecco, a mio avviso, la contraddittorietà contenuta nella sentenza della Suprema Corte.
Provando a scendere più nel dettaglio della vicenda e ferma restando l’assoluta necessità di rispettare le leggi, non si può, onestamente, non rilevare come la comunità Sikh sia ormai assolutamente integrata (e, mi permetto di sottolinearlo, la parola «integrazione» indica qualcosa ben oltre la “sola” inclusione) nei territori dove vive da decenni e con il suo onesto lavoro (valore che certamente condividiamo!) contribuisce alla crescita economica dei paesi e delle città di cui è parte: oltre a ciò, i suoi membri si adoperano per gli altri (italiani o migranti) in molte azioni di volontariato.
Si aggiunga poi che mai si sono verificati casi in cui il pugnale in questione sia stato utilizzato per fini diversi da quelli religiosi.
Infine, è proprio di questi mesi l’interessante lavoro in cui la comunità Sikh sta collaborando con il Ministero degli interni proprio per addivenire a un protocollo d’intesa circa il pugnale sacro: anche in questo caso una prova di integrazione e capacità di dialogo di chi, rispettando la legge, desidera essere riconosciuto come parte legittima e proattiva della società.
Davvero quegli stessi che si armano e invocano il cosiddetto diritto di sparare, andando ben oltre il principio di legittima difesa, sono inquieti per una manifestazione religiosa?

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