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2 volontarie cremonesi nel campo profughi di Katsikas: incontro lunedì 5 dicembre

L’esperienza di due cremonesi, Elena e Alice, come volontarie nel campo profughi di Katsikas, in Grecia, sarà il tema dell’incontro che si terrà lunedì 5 dicembre alle ore 18.30 presso la Sala Forum di Via Speciano, 2 a Cremona. L’incontro è promosso da Arci, in collaborazione con la Tavola della Pace di Cremona.

Katsikas è uno dei campi profughi allestiti nei primi mesi del 2016 in Grecia per ospitare il crescente numero di persone che hanno trovato filo spinato e muri ad impedire il passaggio verso la rotta balcanica. E’ un campo di tende, costruito su un suolo roccioso che un tempo ospitava un aeroporto militare; si trova alla periferia di Ioannina, nella regione dell’Epiro, a nord-ovest della Grecia, verso il confine con l’Albania.

“Siamo rimaste a Katsikas durante il mese di agosto come volontarie indipendenti” raccontano Elena Bodini e Alice Mele, 23 anni, nate a Cremona e ora impegnate negli studi universitari. “Questa estate abbiamo condiviso i tempi e le giornate con le persone che abitano il campo profughi: rifugiati che scappano da Afghanistan, Siria, Iraq, Iran. Quello che abbiamo visto, sentito e vissuto ci ha profondamente colpito. Ed è per questo che una volta tornate abbiamo deciso di continuare a fare qualcosa per portare il nostro apporto a tutte quelle persone che abbiamo avuto la fortuna di conoscere e che si trovano ora in questa situazione difficile e infelice”.

Katsikas è un luogo di attesa, un’attesa infinita. Le persone si ritrovano in questi campi dopo un viaggio estenuante, dopo aver rischiato di morire in mare o sulle montagne tra la Siria e la Turchia. I campi, come sono stati originariamente pensati dal governo greco, dovrebbero essere una sistemazione provvisoria. Tuttavia, a causa del fallimento del programma europeo di Relocation, non è andata proprio così. Il sistema di accoglienza dei profughi in Grecia, prevede un meccanismo complesso e anche abbastanza precario, che prende tempi lunghissimi.

“Ammazzare il tempo” non diventa quindi più un’opzione, ma un modo di sopravvivenza, se non l’unico. “Appena arrivate al campo” – continuano le ragazze – un volontario in partenza ci parlò di questo grande problema, soprattutto tra i giovani: la noia. Ma non capivamo, ci sembrava tutto frenetico. Solo dopo molti giorni (o pochi, chi lo sa?), iniziammo a capire quella pesantezza che aleggia nell’aria, ad ogni ora del giorno e della notte. Allo stesso tempo capimmo anche il senso dell’entusiamo negli occhi di tutti, per ogni piccola cosa, quella voglia di condividere un’esperienza”.

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