Bosso-Krylov e la musica arriva al cuore
E’ andata come ormai accade per ogni suo concerto: sold out ai botteghini e standing ovation finale per Ezio Bosso. Ma all’Auditorium Arvedi c’è stato qualcosa in più rispetto a quanto accade in ogni parte d’Italia. Lo scattare tutti quanti in piedi alla fine del concerto con un applauso liberatorio di tensione ed emozione, dopo aver ascoltato in rapito silenzio quel suo “The Roots” (Radici), è stato l’omaggio a un grande compositore, un musicista raffinato che per oltre due ore ha dialogato con il suo pianoforte gran coda Steinway e il violino del nostro Sergei Krylov, senza risparmio, finendo stremato, quasi accasciato sul suo adorato strumento.
Qui la fusione tra pianoforte e violino è stata perfetta, complice il luogo, l’atmosfera, la storia e un grandissimo musicista come Krylov che ha saputo interpretare quello che Bosso ha illustrato: realizzare musica capace di fondere pianoforte e violino come un unico strumento. Così Bosso e Krylov ci hanno donato una serata indimenticabile che resterà a lungo nella memoria e nel cuore dei presenti.
Altissima musica, sonorità che nascono dall’anima, “cerchiamo la poesia che si nasconde tra le note” ma anche ammirazione per la forza e il coraggio di questo pianista, compositore (musica classica, colonne sonore per cinema e danza, sperimentazioni continue) e direttore d’orchestra capace di presentarsi agli spettatori senza paura di mostrare la sua fragilità fisica e con i movimenti resi difficili da una malattia neurodegenerativa che lo accompagna dal 2011, appena quarantenne.
“Dovremmo evitare di dare un esempio di forza continua, perché siamo fragili uguali, benché in alcuni all’apparenza non si noti” ha detto in una intervista. Quasi una provocazione. E lui è perfino capace di scherzare sulla sua malattia: “Datemi dieci minuti per cambiarmi le dita” ha detto prima dell’intervallo in cui ha rinnovato le fasciature.
Alla fine di Bosso resta comunque la musica, piena di Bach (“il grande vecchio che ci guarda e osserva”) e soprattutto Beethoven, “il mio papà”, a cui si è ispirato per “Radici”, un misto di marcia funebre nella prima parte e di “allegro ma non troppo, quindi il giusto” nella seconda, brano eseguito in prima mondiale a Cremona. Il concerto si era aperto con la sua ormai celebre “Following a bird”, quindi con due movimenti di Bach, la difficile musica cellulare di John Cage prima di tornare a Bach, Sostakovic e Arvo Part. Poi la seconda parte con “Radici” e infine il bis ispirato alla poesia di Emilie Dickinson per chiudere una serata che si vorrebbe non finisse mai.