Politica

Il nuovo Senato scalda dibattito nel Pd: confronto tra sì e no al referendum

L’atteso confronto tra il si e il no al referendum all’interno del Pd ha fatto il pieno lunedì sera a teatro Monteverdi dove ne hanno discusso Ugo Rescigno e Antonio Panzeri (per il no)  e Francesco Pizzetti e Luciano Pizzetti per il sì. Presenti tra il pubblico molti esponenti di partito, ma anche tanti cittadini ancora indecisi sul voto.  Ad aprire il dibattito moderato da Chiara Tomasetti (Comitato per il No)  è stato il costituzionalista Pizzetti: “Stiamo portando a compimento la riforma del 2001 che aveva cambiato i rapporti tra Stato e Regioni, mantenendo il bicameralismo perfetto che però non è mai stato  quello voluto dai padri costituenti”. Né Togliatti né De Gasperi, spiega Pizzetti, ne erano entusiasti, quella doveva essere una soluzione temporanea dettata dalla fretta di chiudere l’assemblea in tempo per approvare la nuova Costituzione nell’anno simbolicamente importante del centenario dello statuto albertino (1848 – 1948). Venne allora adottata quella soluzione che ricalcava appunto lo statuto, dove però il bicameralismo perfetto aveva un senso in quanto il senato era di nomina regia ed era solo la Camera ad essere elettiva”. Sgombrato dunque uno dei dubbi di coscienza dell’elettorato Pd dal timore di tradimento degli ideali repubblicani di base, Pizzetti è passato a spiegare perchè non sarebbe poi così tragico passare ad un senato con potere legislativo ridotto: “Nessun deficit di democrazia, semmai si dà una maggiore rilevanza alle assemblee territoriali, con una Camera che rappresenterà il corpo elettorale e un Senato che rispecchierà le istituzioni territoriali”, cioè comuni, città metropolitane, regioni.

Proprio dal nuovo Senato parte Rescigno: qui, afferma il sostenitore del no, ci sarà innanzitutto un problema di composizione, visto che sarà formato da maggioranze variabili (a seconda dei mandati elettorali di amministratori regionali e sindaci) e solo nella migliore delle ipotesi dello stesso colore della Camera. Con il risultato che “questo senato inevitabilmente irresponsabile avrà la possibilità di bloccare una riforma costituzionale”, uno dei poteri che l’assemblea riformata manterrà. Un “mostriciattolo”, questo Senato, che in realtà non rappresenta veramente le istituzioni territoriali per il modo con cui viene composto e che non sostituirà le commissioni Stato – Regioni, attualmente vigenti e di cui non si prevede l’abolizione. Ecco allora il vero motivo che, secondo i sostenitori del no, ha spinto il Governo a varare la legge di riforma costituzionale: perchè “non si poteva attribuire al Senato la stessa maggioranza che c’è alla Camera”, dove con il 40% dei voti si avrà la maggioranza assoluta, mentre al Senato, col  sistema elettorale vigente che è su base regionale, non è possibile spalmare i voti a livello nazionale. “Non è un caso che riforma costituzionale e legge elettorale vadano insieme – conclude Rescigno – questo referendum è un plebiscito per la legge elettorale della Camera, che per me è una legge scandalosa. Il popolo deve poter essere rappresentato il più possibile e non solo da due schieramenti in cui tanti non si riconoscono”.

Panzeri, già segretario della Camera del Lavoro di Milano, è tra i deputati Pd che voteranno no, contrari quindi alla linea ufficiale del partito. Considera la riforma una sconfitta della politica e dei partiti, che affidano alla forma istituzionale il compito di riformare quello che invece dovrebbero fare loro. “Non siamo di fronte ad una crisi istituzionale, ma ad una crisi della politica. Non è vero che così com’è c’è un problema di velocità delle leggi: quella che istituisce il pareggio di bilancio, guarda caso è stata approvata in fretta”. E’ dunque la volontà dei partiti di mettersi d’accordo che manca e questo, teme Panzeri, non si risolverà con la riforma delle istituzioni. “Passiamo da un bicameralismo perfetto ad un bicameralismo confuso”. Giudica un gravissimo errore dell’allora Pds la riforma del Titolo V (“allora dicemmo che non l’avremmo fatto mai più”) e mette in guardia dagli effetti incontrollabili di riforme istituzionali che partono dall’input di un governo, e che poi possono avere effetti assai diversi da quelli ricercati, al variare della maggiorana in carica.

Luciano Pizzetti, l’ultimo a parlare, accenna alla “memoria corta ” del centrosinistra che già dai tempi dell’Ulivo parlava di modifiche nell’assetto dello Stato che oggi va a compimento. Fa notare lo sbilanciamento attuale del bicameralismo perfetto, con un Senato e una Camera diversi per composizione anche per effetto dell’età anagrafica dei votanti; ricorda gli innumerevoli contenziosi che si sono succeduti tra Stato e Regioni a causa della potestà legislativa concorrente, ben 1500 dal 2001 al 2015, contro i 115 (in 65 anni) della Germania. Insomma, una legge che non va a cambiare la forma dello Stato, che non è stata voluta dal Governo bensì votata dal parlamento (anche se poi molti hanno cambiato idea) che rafforza i legami tra istituzioni e territorio  e riduce i punti di conflitto Stato Regioni.

Molte altre le motivazioni  del sì e del no emerse durante le risposte alle domande del pubblico. Ma resta un nodo di fondo, per il partito di governo: il referendum si è ormai trasformato in un voto di promozione o bocciatura per il governo Renzi e pare proprio che gli italiani voteranno più su questo che non sulle ragioni per quanto argomentate siano delle due opposte fazioni.

g.biagi

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